"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole."

Charles Baudelaire

Percorsodiviaggio


Visualizza ormediviaggio...sul mondo in una mappa di dimensioni maggiori

sabato 27 marzo 2010

Tibet ad occhi aperti...i miei. 2° parte

Partenza all’alba, ovvero di notte, le 7;30.
Dopo pochi minuti di strada infernale tra imponenti lavori infrastrutturali e dirupi, la quiete.
Asfalto immacolato e segnaletica fiammante, opera davvero notevole.
La strada si inerpica su di un paesaggio immenso, quest’ultimo non è cinese.
Saliamo costantemente tra montagne, strapiombi e corsi d’acqua che scendono dall’alto, nulla intorno, fino all’altopiano; si cominciano a vedere i prime centri abitati, poche case di mattoni tutte bianche con alle finestre le tende con i colori blu, giallo, rosso, insieme alle immancabili splendide prayer flags che sventolano sui quattro angoli dei tetti, sulle colline e ovunque.
Mucche e capre dal pelo molto lungo, diverso.
Incrociamo i primi mezzi, trattori, moto e carri trainati da animali, insieme ai pochi abitanti, semplici, lenti nei gesti e vivi negli occhi.
I villaggi sono pochi, in lontananza se ne vede qualcun altro ma sempre composto da poche abitazioni semplici e disorientanti.
Ogni tanto facciamo sosta per pochi minuti l’altitudine aumenta velocemente e tutti non facciamo che bere acqua, molta acqua, più di 4 litri al giorno per evitare fastidi ma immancabilmente qualcosa accade.
Fortunatamente nulla di importante ma il costante mal di testa e la difficoltà di respirazione fanno visita a tutti.
Ovunque sbucano cime alte, alcune altissime, ma da qui non sembrano così, come il k2 in lontananza.
Sarà che non mi aspettavo altopiani cosi vasti, nella mia mente la catena himalayana è l’insieme dei picchi per eccellenza, invece non è solo questo.
Ci sono spazi aperti infiniti dove il cielo di un celeste mai visto avvolge l’immensità di un radioso e gigantesco sole, si potrebbe rimanere ore ed ore solo a capire di quale blu si tratta.
In più il tempo è fantastico le uniche nuvole sono quelle create dal vento che soffia sui picchi più alti in lontananza, il resto è un infinita opera d’arte…vasta, delirante.
Ci fermiamo per pranzo in una tipica locanda, in un paesino sulla strada, semplice e graziosa ma non per tutti, alcuni non capiscono l’introspezione dei servizi igienici ma io li trovo perfetti, innegabilmente..."bucolici" J.

Dopo un gustoso pranzo a base di noodles, riso con carne, momo, si decide di ripartire, andiamo un po’ di fretta dobbiamo fare parecchi km oggi.
Ma ad ogni sosta la guida e gli autisti trovano difficoltà a farci riunire, ognuno si perde nel suo momento, chi in un immagine con la fotocamera chi semplicemente seduto ad ammirare il tutto tra polvere e sole, chi osserva curiosamente a specchio i locali, chi tenta di fare il giocherellone ed al terzo passo affrettato è senza fiato.
Ma che volete?
Quanti di quelli tra noi ripasserà da queste parti?
E soprattutto quanto ancora saranno cambiate “queste parti”?
Continuiamo a salire tra villaggi e cittadine, davanti alle abitazioni curiosi arnesi simili a parabole, almeno secondo me, solo poi capirò cosa sono realmente...
Poi cominciano i posti di controllo, passaporti visti del gruppo e chiacchiere, perdita di tempo ed oltraggio estetico morale ad un ambiente e persone dal silenzioso diritto di essere!
Arriviamo sul punto più alto dove il vento soffia forte e gelido, il sole non riesce a scaldare qui, poco tempo fuori dalle vetture per respirare e godere di tutta questa meraviglia, poi riprendiamo la lunga lingua di asfalto attraverso questo austero e al tempo stesso gentile paesaggio.
Prima di sera arriviamo a Shigatze.
Ci sistemiamo per la notte in un gradevole albergo, camere doppie, acqua calda e asciugamani, un sogno.
Tutti rimangono in stanza stremati, nonostante il viaggio seduti siamo a pezzi per via dell’altitudine.
Io però voglio fare un giro, sono abruzzese, che sarà mai qualche metro di altitudine?
L’albergo è a poche centinaia di metri dal Tashilompu Monastery, io mi incammino per la città osservandolo incastonato sotto la collina.
In giro nessuno, poche persone e poche auto solo taxi e blindati della polizia (?).
Proprio di fronte l’entrata principale del monastero una enorme piazza con un mega maxi schermo, statue di metallo, panchine ed un’altissima asta dove svetta la “bandiera”, freddo, tipicamente “rosso” il tutto.
Un immenso spazio "vuoto" proprio lì davanti...
In una traversa vicina alcune persone, tibetane,  sono in terra con bottiglie di birra cinese che sparlano, dicono qualcosa, gli unici che si fermano ad ascoltarli gentili sono coloro in completo amaranto, monaci, che non lesinano pochi spiccioli e parole di conforto.
Non posso capire il tutto ci mancherebbe, ma improvviso qualche mia personale "percezione"…
Da qui comincia la città “nuova”, un agglomerato di negozi di telefonia mobile, palazzi, alberghi accecanti,  ristoranti sfavillanti, negozi di musica assordanti, banche, fast barbecue food e centri commerciali, il tutto condito con una quantità inpensabile di palazzi governativi e caserme con la bandiera cinese che sventola piantonata da divise verdi e mimetiche.
Trovato un market faccio spesa per la sera compro poche cose essenziali, una busta e torno in albergo, ma camminare per il mio corpo anche con soli 2 kg è pesante, arranco insieme ai miei pensieri.
L’indomani mattina facciamo un giro per la città, io e i compari olandesi.
Vicino al monastero, sulla sinistra, un agglomerato formato da vecchie abitazioni palesemente tibetane, leggermente trasandato, con persone sedute a terra a vendere frutta e verdura, più avanti verso l’ingresso venditori ambulanti, oggettistica tipica tibetana, buste gialle di burro di yak,  “souvenir” e paccottiglia plastica varia.
Qualcuno tenta timidamente di invitarci all’acquisto.
Ancora più in là una zona pedonale (via parallela a quella della sera prima), almeno dovrebbe visto il continuo transito di mezzi, con strade piastrellate e con architettura e colori vagamente cinesi piene di negozi di ogni tipo, ma sempre pochissimi acquirenti.
Il tutto è eccessivo se rapportato alla popolazione, anche nel mercato rionale è la stessa cosa, centinaia di bancarelle senza acquirenti.
Assurdo, davvero senza un motivo.
Nel pomeriggio visita al monastero, totalmente abitato da monaci, appare come un villaggio silenzioso proprio incastonato sotto la collina, colorata dalle bandiere.
Entriamo all’interno tra bianchi edifici con le consuete tende colorate mosse dal vento, incrociamo un monaco con una cassa di redbull sulle spalle...(?)
Nel monastero pellegrini intenti ad offerte e riti dinanzi alle statue del Buddha d’oro, in un atmosfera di sacralità, silenzio, con il suono dei mantra recitati dai più sottovoce camminando in senso orario tra la fioca luce ed il denso odore delle candele di burro di yak.
Mentre la guida ci spiega a bassa voce le immagini, le iscrizioni e la storia del luogo, alcuni ci osservano incuriositi, sorridono e salutano in maniera sincera, dolce, qualcuno ci stringe la mano qualcun altro ci indica ai bimbi che ci osservano con sgomento.
Poi un sorriso.
La mia sensazione è di essere fuori luogo li, con i nostri abiti colorati, le macchinette (per foto biglietto extra), stonati ad ascoltare  e capire il vero significato di tutte quelle tante cose.
Ma allo stesso tempo la sensazione che pervade è quella di un luogo familiare, caldo, senza distinzione alcuna.
Tranne che per la guida che in più di un occasione sottolinea la complessità nel far comprendere ad un occidentale il tutto, una guida più simpatica non ci poteva capitare?
Però nessuno gli da peso più di tanto, siamo tutti intenti a godere di quel che viviamo tra le bellezze, le sensazioni e l’accoglienza di tutti.
Girando all’interno notiamo monaci un po’ strani, schivi, alcuni ridono e scherzano a voce alta altri sono dimessi ed intenti alle proprie mansioni, accennano sorrisi.
Alcuni seduti in terra riparano vesti usate per i poveri.
Qualcuno ci ha detto che non tutti sono monaci…
Alla fine della visita la guida ci concede le restanti ore libere all’interno ma dicendoci chiaramente di non parlare con nessuno.
Nessuno parla inglese, facile.
Girando mi accorgo di alcune telecamere, nascoste, colorate come i tetti e quant’altro, la guida mi dice ecco!
Usciamo dalla parte superiore proprio sulla collina, camminiamo all'esterno tra dipinti sacri e mantra sulle rocce, i monaci anziani si aggirano in preghiera.
Io e la triade  ci sparpagliamo sulle rocce, al sole, davanti a tutto quello spazio.
A destra il colorato monastero, di fronte la quiete delle montagne, a sinistra i palazzoni e il cemento…
In silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, considerazioni, proprio li, tutti sotto lo stesso cielo.
Prima del tramonto rientriamo grazie ad un monaco silente che ci apre le porte anche se stanno iniziando le preghiere e proprio prima di uscire ci ferma uno di loro che in un discreto inglese ci invita a prenderne parte, stare con loro, ma non vogliamo creare problemi e riscendiamo via...sempre più pensierosi e un po’ costernati.
Sono in Tibet dopo anni di immaginazione, di letture, desideroso di vivere e capire anche solo quel poco, un istante, ma…non si può.
Sono meno felice.


Andrea, Tibet


...continua.

3 commenti:

  1. ancora un motivo in più per sentirsi il vuoto intorno... toccheremo il fondo per poi risorgere? Forse non siamo un popolo di pecore di scarsa memoria, forse siamo veramente in pochi a pensarla fuori dal coro. Non sai come mi pesano le spalle, mi sento piegata... Ma in effetti forse è quello che si merita un paese senza alternativa, un paese piatto. Che amarezza....

    RispondiElimina
  2. p.s. ormai non mi firmo neanche più....
    Pat

    RispondiElimina
  3. non è un paese piatto Pat è un paese infinito, con persone, anime e umanità da scrivere...altri dovrebbero pensare a quel che fanno, ma il potere è ovunque un male.
    storia, presente e lo sarà in futuro, umano.
    baci

    RispondiElimina