"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole."

Charles Baudelaire

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mercoledì 31 marzo 2010

Tibet ad occhi aperti...i miei. 3° parte


Partiamo per Gyantse, senza fretta con un tempo meraviglioso, il cielo è terso il sole caldo e la temperatura inaspettatamente mite, è la primavera.
Attraversiamo costantemente colline colorate dalle bandiere tibetane a protezione delle case, dei raccolti, delle famiglie, come sulle case che incontriamo.
Notiamo tra loro alcune differenze sono nuove, grandi, hanno trattori e tra le prayng flags anche quella cinese.
Le altre sono più piccoline, spartane, con gli agricoltori che iniziano ad arare il terreno “surfando” sulle aratro trainati dai buoi, mai visto prima J.
Ci fermiamo pochi minuti in una sorta di mulino, piccolo, alimentato da un ruscello.
E’ gestito da una semplice famiglia intenta alle mansioni di tutti i giorni breve sosta poi ripartiamo.
Arriviamo e  la città è piccola e ovviamente “rivisitata” da coloro che a mio avviso non fanno altro che togliere l’anima di questi luoghi, nonostante si dica che è la meno toccata dall’affluenza cinese io non la vedo così, anzi!
La mattina è libera e giriamo per le 4 vie naturalmente adibite al consumo, vista la rapidità dell’esplorazione cittadina decido di farmi la barba da un barbiere, cinese.
Non l’avessi mai fatto, sistemato su un lettino stile “chirurgia sperimentale”, il tipo tenta di scolpire spazi sul mio volto con il rasoio, tremando, arrivato al mento chiama la moglie in aiuto, poi continua lui…dopo mezz’ora chiedo uno specchio e…pago, ringrazio e torno in albergo per terminare il capolavoro in solitaria…manco la barba!!!
Il pomeriggio visita al Pelkhor Chode Monastery  e la Kumbum stupa , la più grande del Tibet, in stile nepalese, proprio all’interno del monastero.
Bello, come sempre, tra la costanza dei fedeli e i loro sguardi sinceri.
Un monaco ci offre dolci.
Nel monastero c’è la foto di un giovanissimo Lama che riporta la mia mente a Bodhgaya, India, dove vedevo sempre la foto del Dalai Lama con accanto un altro giovane Lama Rimpoche, quindi  chiedo alla guida delucidazioni in merito.
Risponde, incredibile, ma dopo due minuti mi raggiunge e prendendomi sotto braccio mi dice sottovoce di non fare mai più domande di questo tipo pronunciando la parola Dalai Lama.
Il monaco subito dopo la mia domanda ha chiesto spiegazioni e lo ha redarguito…
Che dire?
Dopo la visita io e i due minchiones olandesi siamo andati sul Forte di  fronte al monastero passando per la vera città tibetana, una sorta di villaggio con normalità da respirare a pieni polmoni, le persone immerse nel quotidiano, le vacche ad oziare e i bimbi a petto nudo a giocare spensierati….splendido, dietro, nascosto… naturalmente l’ingresso al forte non è compreso nel pacchetto ma abbiamo “portoghesato” il tutto infiltrandoci senza essere visti.
Dopo la stremante arrampicata e le deliziose foto di rito, ci siamo ritrovati un cancello di 5 metri sbarrato!
Chiusi nel forte alle 16 del pomeriggio.
Panico.
Ma eravamo troppo stanchi per preoccuparci quindi ci siamo arrampicati sul cancello e scivolati dal pertugio in cima mentre l’altro spingeva per far spazio tra il ferro e la roccia…io ero un pelino preoccupato non essendo proprio in forma come loro, già mi immaginavo la notte all’interno e la gentilezza delle guardie cinesi, da  brividi, ma sono riuscito a filtrare…arisanti kg persi J.
Torniamo in albergo ed incontriamo altri del gruppo, discutiamo dell’ennesima strana giornata e…decidiamo di cenare insieme scacciando via le innumerevoli perplessità.
Le giornate passano veloci, le visite, i spostamenti, le sistemazioni, la sera alle 21 siamo tutti in stanza; siamo sempre tra i 4000 e i 5000 mt, ed anche se ai più il tutto è passato, la stanchezza è sempre presente.
Il giorno dopo si riparte destinazione Lhasa attraverso i paesaggi che cambiano e con i miei occhi che non riescono a stancarsi, corrono dietro ogni immagine attraverso il finestrino, ma la voglia è quella di fermarsi e camminare, parlare, stare un po’ ma…non si può.
Arriviamo al lago Yamdrok Tso, magnifico, il sole si riflette sull’acqua color turchese, da fiaba, si insinua nelle vallate creando forme meravigliose, mai visto niente di simile.
In parte è ancora ghiacciato e con il sole e le ombre  l’effetto,  se possibile, è ancora più magico.
Il lago è sacro per i tibetani in quanto divino protettore del paese, un tempo lo era anche per i cinesi ma ora non più.
Sono solo intenti a ricavarne da esso “sacra” energia elettrica con la loro centrale, distruggendo non solo l’aspetto spirituale di questo splendido luogo, ma anche l’intero ecosistema in una  zona unica al mondo.
Perché?
Siamo tutti piuttosto estasiati da questo spettacolo e dopo un po’, parecchio, la guida riesce a farci ripartire, dobbiamo raggiungere Lhasa.
Saliamo e scendiamo continuamente, come il nostro mal di testa, verso pranzo ci fermiamo in un “ristorante” a circa 60 km da Lhasa, purtroppo una della jeep si è scassata e dobbiamo attendere che recuperino i compagni di viaggio.
Per pranzo altra stranita da parte di quel fanfarone della guida che ha suscitato battutastre a raffica, io in pompa magna ovviamente, la pazienza comincia a mancare.
Nel ristorante una coppia Tedesca (con guida e autista) di ritorno da una gita al lago proprio da Lhasa.
Hanno un van quindi posto per i 4 compagni rimasti senza la jeep, si aggregano a noi.
Per strada cominciano i controlli, non ne vedevamo da giorni, tutti vengono fermati e controllati, bus, auto, camion, specialmente noi, ad ogni stop (ogni 10km) 20 minuti, siamo stranieri.
La presenza militare è notevole, alcuni poliziotti hanno il lancia granate (?)
Durante uno dei controlli ci fermiamo sotto un cartello che segnala la direzione verso un monastero, di cui purtroppo non ricordo il nome, mi giro e… la via d’accesso è un ponte,  murato!
Dopo 3 ore arriviamo finalmente a Lhasa, così almeno dice il cartello, ma io vedo solo una lunga strada moderna con grandi autosaloni internazionali, palazzoni, negozi (ovvio), imprese di costruzione e cemento…pattuglie, gazebo con militari, altri con polizia, altri con militari, altri…
Imponenti lavori infrastrutturali…ponti, avvolti da bandiere tibetane…dopo 15 minuti di viale (senza soste) arriviamo in centro, me ne accorgo solo perché sulla sinistra noto una curiosa struttura vagamente tibetana, il Potala!
Ci fermiamo poco dopo ad un incrocio con un gazebo della polizia, ad attenderci i responsabili dell’albergo con un carrello per i bagagli.
Ci fanno scender e ci invitano a prendere i bagagli e seguirli, veloci...
Entriamo nella via e poco dopo ci ritroviamo catapultati in albergo un po’ ebeti.
Tutto è strano, tutto però appare tranquillo per le strade, tranne la nostra presenza.
L’albergo è l’ex dimora di un Lama e in effetti sembra proprio un piccolo monastero con il cortile interno, gli affreschi, le immagini e i colori, davvero carino.
La guida ci fa sistemare nella reception e ci consegna le chiavi delle camere dicendoci stasera si mangia qui, non potete uscire, domani vediamo…io, per la prima volta dopo 5 mesi, provo un vago senso di nervosismo e chiedo in maniera piuttosto decisa spiegazioni (sono 5 giorni che ti sopporto sbruffone mo basta!), è così! mi dice, io gli rispondo che lui non può impedirmi proprio un bel niente…anche gli altri cominciano ad animarsi perché non capiscono.
(a essere sincero io so perché c’è questa situazione, lo so da tempo, in parte ho scelto il periodo di proposito… il 10 marzo ricorre l’anniversario della rivolta di Lhasa, 1959, oggi è il 10…però non immaginavo tutto questo)
Interviene un altro, la nostra nuova guida a Lhasa, in maniera molto gentile e comprensiva ci dice che la sua compagnia ha avuto ordine dal governo di non far uscire stranieri per la città e si scusa con noi chiedendoci di aspettare l’indomani, in mattinata andiamo al Potala, nel pomeriggio con tutta probabilità le cose saranno diverse.
Per questo abbiamo incontrato la coppia tedesca, oggi nessuno doveva circolare per la città quindi li hanno “invitati” a fare una gita fuori porta.
Siamo “prigionieri”.
Comprendiamo ed accettiamo la cosa (però nessuna delle guide ha dato la vera motivazione).
La serata scivola anonima, molti discutono sulla situazione, altri si ritirano subito dopo cena costretti a cenare nell’albergo, ai loro prezzi, questo mi pesa J.

Andrea, Lhasa

…continua.

sabato 27 marzo 2010

Tibet ad occhi aperti...i miei. 2° parte

Partenza all’alba, ovvero di notte, le 7;30.
Dopo pochi minuti di strada infernale tra imponenti lavori infrastrutturali e dirupi, la quiete.
Asfalto immacolato e segnaletica fiammante, opera davvero notevole.
La strada si inerpica su di un paesaggio immenso, quest’ultimo non è cinese.
Saliamo costantemente tra montagne, strapiombi e corsi d’acqua che scendono dall’alto, nulla intorno, fino all’altopiano; si cominciano a vedere i prime centri abitati, poche case di mattoni tutte bianche con alle finestre le tende con i colori blu, giallo, rosso, insieme alle immancabili splendide prayer flags che sventolano sui quattro angoli dei tetti, sulle colline e ovunque.
Mucche e capre dal pelo molto lungo, diverso.
Incrociamo i primi mezzi, trattori, moto e carri trainati da animali, insieme ai pochi abitanti, semplici, lenti nei gesti e vivi negli occhi.
I villaggi sono pochi, in lontananza se ne vede qualcun altro ma sempre composto da poche abitazioni semplici e disorientanti.
Ogni tanto facciamo sosta per pochi minuti l’altitudine aumenta velocemente e tutti non facciamo che bere acqua, molta acqua, più di 4 litri al giorno per evitare fastidi ma immancabilmente qualcosa accade.
Fortunatamente nulla di importante ma il costante mal di testa e la difficoltà di respirazione fanno visita a tutti.
Ovunque sbucano cime alte, alcune altissime, ma da qui non sembrano così, come il k2 in lontananza.
Sarà che non mi aspettavo altopiani cosi vasti, nella mia mente la catena himalayana è l’insieme dei picchi per eccellenza, invece non è solo questo.
Ci sono spazi aperti infiniti dove il cielo di un celeste mai visto avvolge l’immensità di un radioso e gigantesco sole, si potrebbe rimanere ore ed ore solo a capire di quale blu si tratta.
In più il tempo è fantastico le uniche nuvole sono quelle create dal vento che soffia sui picchi più alti in lontananza, il resto è un infinita opera d’arte…vasta, delirante.
Ci fermiamo per pranzo in una tipica locanda, in un paesino sulla strada, semplice e graziosa ma non per tutti, alcuni non capiscono l’introspezione dei servizi igienici ma io li trovo perfetti, innegabilmente..."bucolici" J.

Dopo un gustoso pranzo a base di noodles, riso con carne, momo, si decide di ripartire, andiamo un po’ di fretta dobbiamo fare parecchi km oggi.
Ma ad ogni sosta la guida e gli autisti trovano difficoltà a farci riunire, ognuno si perde nel suo momento, chi in un immagine con la fotocamera chi semplicemente seduto ad ammirare il tutto tra polvere e sole, chi osserva curiosamente a specchio i locali, chi tenta di fare il giocherellone ed al terzo passo affrettato è senza fiato.
Ma che volete?
Quanti di quelli tra noi ripasserà da queste parti?
E soprattutto quanto ancora saranno cambiate “queste parti”?
Continuiamo a salire tra villaggi e cittadine, davanti alle abitazioni curiosi arnesi simili a parabole, almeno secondo me, solo poi capirò cosa sono realmente...
Poi cominciano i posti di controllo, passaporti visti del gruppo e chiacchiere, perdita di tempo ed oltraggio estetico morale ad un ambiente e persone dal silenzioso diritto di essere!
Arriviamo sul punto più alto dove il vento soffia forte e gelido, il sole non riesce a scaldare qui, poco tempo fuori dalle vetture per respirare e godere di tutta questa meraviglia, poi riprendiamo la lunga lingua di asfalto attraverso questo austero e al tempo stesso gentile paesaggio.
Prima di sera arriviamo a Shigatze.
Ci sistemiamo per la notte in un gradevole albergo, camere doppie, acqua calda e asciugamani, un sogno.
Tutti rimangono in stanza stremati, nonostante il viaggio seduti siamo a pezzi per via dell’altitudine.
Io però voglio fare un giro, sono abruzzese, che sarà mai qualche metro di altitudine?
L’albergo è a poche centinaia di metri dal Tashilompu Monastery, io mi incammino per la città osservandolo incastonato sotto la collina.
In giro nessuno, poche persone e poche auto solo taxi e blindati della polizia (?).
Proprio di fronte l’entrata principale del monastero una enorme piazza con un mega maxi schermo, statue di metallo, panchine ed un’altissima asta dove svetta la “bandiera”, freddo, tipicamente “rosso” il tutto.
Un immenso spazio "vuoto" proprio lì davanti...
In una traversa vicina alcune persone, tibetane,  sono in terra con bottiglie di birra cinese che sparlano, dicono qualcosa, gli unici che si fermano ad ascoltarli gentili sono coloro in completo amaranto, monaci, che non lesinano pochi spiccioli e parole di conforto.
Non posso capire il tutto ci mancherebbe, ma improvviso qualche mia personale "percezione"…
Da qui comincia la città “nuova”, un agglomerato di negozi di telefonia mobile, palazzi, alberghi accecanti,  ristoranti sfavillanti, negozi di musica assordanti, banche, fast barbecue food e centri commerciali, il tutto condito con una quantità inpensabile di palazzi governativi e caserme con la bandiera cinese che sventola piantonata da divise verdi e mimetiche.
Trovato un market faccio spesa per la sera compro poche cose essenziali, una busta e torno in albergo, ma camminare per il mio corpo anche con soli 2 kg è pesante, arranco insieme ai miei pensieri.
L’indomani mattina facciamo un giro per la città, io e i compari olandesi.
Vicino al monastero, sulla sinistra, un agglomerato formato da vecchie abitazioni palesemente tibetane, leggermente trasandato, con persone sedute a terra a vendere frutta e verdura, più avanti verso l’ingresso venditori ambulanti, oggettistica tipica tibetana, buste gialle di burro di yak,  “souvenir” e paccottiglia plastica varia.
Qualcuno tenta timidamente di invitarci all’acquisto.
Ancora più in là una zona pedonale (via parallela a quella della sera prima), almeno dovrebbe visto il continuo transito di mezzi, con strade piastrellate e con architettura e colori vagamente cinesi piene di negozi di ogni tipo, ma sempre pochissimi acquirenti.
Il tutto è eccessivo se rapportato alla popolazione, anche nel mercato rionale è la stessa cosa, centinaia di bancarelle senza acquirenti.
Assurdo, davvero senza un motivo.
Nel pomeriggio visita al monastero, totalmente abitato da monaci, appare come un villaggio silenzioso proprio incastonato sotto la collina, colorata dalle bandiere.
Entriamo all’interno tra bianchi edifici con le consuete tende colorate mosse dal vento, incrociamo un monaco con una cassa di redbull sulle spalle...(?)
Nel monastero pellegrini intenti ad offerte e riti dinanzi alle statue del Buddha d’oro, in un atmosfera di sacralità, silenzio, con il suono dei mantra recitati dai più sottovoce camminando in senso orario tra la fioca luce ed il denso odore delle candele di burro di yak.
Mentre la guida ci spiega a bassa voce le immagini, le iscrizioni e la storia del luogo, alcuni ci osservano incuriositi, sorridono e salutano in maniera sincera, dolce, qualcuno ci stringe la mano qualcun altro ci indica ai bimbi che ci osservano con sgomento.
Poi un sorriso.
La mia sensazione è di essere fuori luogo li, con i nostri abiti colorati, le macchinette (per foto biglietto extra), stonati ad ascoltare  e capire il vero significato di tutte quelle tante cose.
Ma allo stesso tempo la sensazione che pervade è quella di un luogo familiare, caldo, senza distinzione alcuna.
Tranne che per la guida che in più di un occasione sottolinea la complessità nel far comprendere ad un occidentale il tutto, una guida più simpatica non ci poteva capitare?
Però nessuno gli da peso più di tanto, siamo tutti intenti a godere di quel che viviamo tra le bellezze, le sensazioni e l’accoglienza di tutti.
Girando all’interno notiamo monaci un po’ strani, schivi, alcuni ridono e scherzano a voce alta altri sono dimessi ed intenti alle proprie mansioni, accennano sorrisi.
Alcuni seduti in terra riparano vesti usate per i poveri.
Qualcuno ci ha detto che non tutti sono monaci…
Alla fine della visita la guida ci concede le restanti ore libere all’interno ma dicendoci chiaramente di non parlare con nessuno.
Nessuno parla inglese, facile.
Girando mi accorgo di alcune telecamere, nascoste, colorate come i tetti e quant’altro, la guida mi dice ecco!
Usciamo dalla parte superiore proprio sulla collina, camminiamo all'esterno tra dipinti sacri e mantra sulle rocce, i monaci anziani si aggirano in preghiera.
Io e la triade  ci sparpagliamo sulle rocce, al sole, davanti a tutto quello spazio.
A destra il colorato monastero, di fronte la quiete delle montagne, a sinistra i palazzoni e il cemento…
In silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, considerazioni, proprio li, tutti sotto lo stesso cielo.
Prima del tramonto rientriamo grazie ad un monaco silente che ci apre le porte anche se stanno iniziando le preghiere e proprio prima di uscire ci ferma uno di loro che in un discreto inglese ci invita a prenderne parte, stare con loro, ma non vogliamo creare problemi e riscendiamo via...sempre più pensierosi e un po’ costernati.
Sono in Tibet dopo anni di immaginazione, di letture, desideroso di vivere e capire anche solo quel poco, un istante, ma…non si può.
Sono meno felice.


Andrea, Tibet


...continua.

venerdì 26 marzo 2010

Tibet ad occhi aperti...i miei. 1°parte

6 marzo 2010

Alle 5:45 adunata sotto l’agenzia, attesa per pochi ritardatari e via verso il confine con la Cina (sarebbe del Tibet ma..).
La comitiva è formata da 20 persone, 13 sul bus, le altre le raccatteremo strada facendo.
I facenti parte del “gruppo” sono piuttosto variegati: 
coppia di cinquantenni tedeschi che se si sono venduti casa comprati un camper e partirti per un viaggio di un anno.
Steve australiano in vacanza, tipo davvero particolare con tanto di targhetta ciao io sono Steve J piacere ...(non parla mai)
Un inglese avanti con l’età e con un carattere troppo indietro.
Una ragazza inglese in giro per mesi tra volontariato e vacanza.
Due giapponesi…punto.
Triade pischella olandese piuttosto alternativa e rumorosa.
Un’olandese in solitaria, un’australiana in solitaria, una svizzera in solitaria, un islandese fotografo freelance, ma che si è preso un anno solo per viaggiare in solitaria, una giovanissima coppia di tedeschi bau bau micio micio in vacanza e un italiano un po’ fuori in solitaria, io.
Arriviamo al confine tra la solita terrificante generosità di buche delle strade nepalesi, mentre la guida ci illustra i comportamenti da tenere per evitare confische materiali e paranoie, o non essere arrestati e polverizzati con un raggio fotonico; ci sono tre approfonditissimi controlli prima di poter varcare la soglia, niente coltelli, niente libri religiosi, niente libri di alcun tipo con immagini di monaci buddisti o Dalai lama, comprese eventuali foto scattate durante/ovunque nella vita, niente foto al confine, ai militari, alla polizia, ad edifici governativi o a macchie di saliva in terra, ne va dell’onore del paese.
Se siete in possesso di tali ”ordigni” siete pregati di lasciarli alla guida che tornerà a Kathmandu così da poterli riavere al vostro ritorno tra una settimana, non vale per me.
(però se ve la sentite potete rischiare nascondendoveli addosso, non controllano persone fisiche…comici si nasce)
A proposito, tra i due confini ci sono quasi 500mt di camminata e un ponte, alla fine l’Impero.
Appena metto piede sul lungo ponte, infestato da centinaia di persone, in lontananza intravedo l’ingresso con i militari.
Alla distanza di 489 mt da quel punto decido di testare la professionalità della nostra guida, dal marsupio estraggo lentamente la mia fotocamera col glaucoma, il tempo di accostare il dito su on e…dai lati del ponte mi si catapultano 7-8 persone con braccia alzate no no, no foto no foto, piuttosto sorpreso dalla rapidità sorrido e dico sorry, I didn’t know... il tutto finisce “sereno”.
Ci fosse stato uno in divisa o dal volto vagamente cinese, erano tutti del nepal con tanto di abiti e la tipica cazzuola rosa che portano in testa, semplici cittadini di zona.
Arriviamo all’entrata e troviamo gli ultimi tre del gruppo ad aspettarci, sono italiani; e bene si, finalmente, padre e figlia con un amico in vacanza per un po’ di giorni, romagnoli veraci, simpatici.
Siamo tutti, si entra.

Se pensi free Tibet verrai immediatamente prelevato dai servizi segreti travestiti da comunisti e di te non si saprà più nulla, almeno fino a quando non ci si ribecca con Alfy.
Non è andata proprio così ma la ragazza svizzera in solitaria, sul ponte, aveva lasciato un giacchettino che aveva una micro toppa con su scritto “free Tibet” alla guida così da non rischiare storie.
Beh, appena ci siamo messi in fila è stata prelevata da alcuni uomini in borghese portata in una stanza e dopo mezz'ora rispedita da noi per prendere i suoi bagagli e tornare indietro, "persona non desiderata…"

Immediatamente controllo della temperatura ad infrarossi e passaporto, subito dopo raggi x per bagagli, poi controllo bagagli effettuato a mano.
I bagagli dei primi vengono letteralmente gettati sul tavolo e minuziosamente controllati, così come cd, fotocamere, panni sporchi ect… (perché ho fatto il bucato??).
Mano a mano il controllo è stato leggermente più blando anche perché l’attesa si stava facendo imbarazzante, comunque anche a me hanno rivoltato lo zainone e trovato il libro di Alfy, quello su Krsna, che avevo assolutamente rimosso dal perenne cataclisma interiore del mio zaino.
Lo hanno visto, sfogliato, rigirato, annusato, assaggiato, ma non avendo trovato figure e tantomeno compreso una parola di inglese me lo hanno ridato, in più non hanno nemmeno badato all’altro zaino che avevo sulle spalle ed il marsupio con la fotocamera…mah.
Poi controllo passaporti e visto, poi di nuovo controllo bagagli ai raggi x ed eventuale perquisizione, eventuale…ha libri??? 
Beh si li ha controllati quel signore in divisa a 10 metri da noi, si ma noi siamo un’altra cosa, faccia vedere prego.
Aritira fuor il tutto e prendi  i libri ennesimo pseudo controllo, pareri di illustri colleghi dal palato fine e...grazie può andare.
Tutto questo in un corridoio di 30 metri, tre ore!!!…ah, nessuno controlla le persone e tanto meno ci sono metal detector, quindi tutti siamo passati con i coltellini in tasca guide nelle mutande e quant'altro.  Volendo tritolo, napalm, droga, armi, tanto nessuno ti può toccare.
Quindi se ti fai esplodere come un kamikaze o trasporti armi di distruzioni di massa  in qualunque punto del Tibet va bene, ma se c’hai la foto di un monaco sulla guida sono cavoli.
Ben venuto in Cina...(Tibet).

p.s.: il ponte sancisce inoltre l’accesso illimitato alla corrente elettrica, asfalto e lo spostamento delle lancette di ben 2 ore e 15 minuti, orario di Pechino...alba alle 9.
Tutto a 500 metri dal Nepal.
Potere dell’Impero.

La prima notte l’abbiamo passata a Nyalam , 3700mt circa (in un giorno), ridente nulla a 30 km dal confine, lievemente avvilente ma iniziale assaggio di tessuto umano.
Il luogo è davvero senz'anima, il paese respira lungo la strada, di passaggio.
In giro solo negozi, market, ristoranti e cinesi.
Pochi i natii e un solo piccolo maltenuto (apparentemente senza vita) monastero.
L’alloggio è abbastanza spartano, camere da 6 letti con bagno in comune per 20 persone.
Io mi sono aggregato alla triade pischello olandese con cui mi sono trovato subito bene, irruenza trash giovanile positiva unita a brillante intelligenza, non l’avrei detto, mine vaganti.
L’indomani saremmo dovuti andare a Lhatse e far sosta per una notte, altra anonima cittadina a poco più di 4000 mt, per dar modo all'organismo di abituarsi all’altitudine, ma la guida ci ha consigliato di saltare la sosta vista la bassa stagione e la quasi totale chiusura di tutte le attività e dirigerci direttamente a Shigatse, seconda città più grande del paese dopo Lhasa.
Sinceramente non ero d’accordo per via del mal di montagna che spesso colpisce chi no né abituato a certe altitudini, ma la guida è apparsa piuttosto determinata nel rassicurare tutti al riguardo, viaggiando in jeep di rado si accusano disturbi in tal senso; il gruppo unanime ha deciso, si parte per Shigatse.
Andrea Tibet

...continua.

Finalmente "free"...

Sono arrivato oggi a Sapa, Vietnam del nord, lasciandomi alle spalle il superbo Tibet, unfree,e la complessa Cina.
Ora posso tornare ad aggiornare il blog.
A breve...

venerdì 5 marzo 2010

Namaste...



Dopo 5 settimane lascio il Nepal.                                       
Ennesimo luogo in cui lasciare un pezzo di cuore,  indiscutibile bellezza, inaspettato ecosistema e clima, ma soprattutto luogo abitato da un popolo straordinario.
Un popolo dal quotidiano non semplice, dai forti contrasti tra “l’occidentalità” emergente ed il profondo rispetto delle tradizioni, la confusione ecologica e la prepotenza della natura, il tutto tra occhi e animi sinceri, un popolo che mi ha rapito per la sua sincera semplicità, dignitosa ed ampia….molto di più di quanto appare.

Dopo 8 giorni relax e "pianificazione" si riparte.
Tutto è pronto, acchittato e pagato!
Salato stavolta e senza una spiaggia.
Ci si rialza (perché sempre alle 5 del mattino???) e si guarda la strada, si punta in alto, molto in alto, 5200 mt il punto più alto che toccheremo per poi riscendere verso Lhasa.
Si riparte dal Tibet.
Desiderio di ogni viaggiatore, meta di ogni spirituale concezione, un gioiello incastonato tra le punte più alte al mondo, che da 60 anni non facciamo che “conoscere” tramite i media.
Dall’inizio, anche se contro i miei desideri, ho sperato di non dover passare da qui.
Ovviamente per il semplice fatto che ho il profondo timore di non trovare ciò che per tutti rappresenta.
Ho paura di imbattermi ancora una volta in qualche “appariscente” ingiustizia, nell’ennesima dimostrazione di quanto la stupidità umana possa materializzarsi con tanta normalità, assuefazione, una delle tante in giro per il mondo, ma di certo la più ”pensata”.
Comunque sono felice perché riparto ancora una volta colmo di gioia per quel che ho appena vissuto e con tutte le innocenti speranze che spero di vivere…ancora.
Grazie Nepal, Namaste.

Nel frattempo avendo trovato una connessione free nel mio strepitoso tugurio mi sono, dopo mesi, attentamene soffermato sulle notizie apparse sui nostri quotidiani…senza parole, cioè, non ne voglio parlare perché delusione e rabbia sono troppo grandi.
L’italia.
Un amico mi ha mandato una mail proprio in questi giorni mentre ancora senza parole cercavo di mettere insieme il complesso puzzle dell’informazione italica e…:

Come va lassù in Tibet? Da quanto leggo tutto alla grandissima!!!  (metti gli occhiali allora, sono ancora in Nepal...:-))bravo... Anche se a sprazzi noi riusciamo a capire quello che ti accade...
Ma cazzo tu non sai quello che sta accadendo qui in Italia...
Minchia ti stai perdendo veramente lo stivale che affonda... In tutti i sensi...
Ma andiamo con ordine.
Ieri e' ricominciata la saga trash dell'isola famosi, di famoso che io conosco c'è solo la Sandra Milo, ma credo che ormai abbia 140 anni...
Qualche giorno fa invece e' stata resa pubblica una maxi truffa ai danni dello stato di Fastweb e società limitrofe, hanno evaso l'iva per centinaia di milioni di euro.
54 persone inquisite tra cui anche dei senatori accusati di collusione con la Mafia.
E' ormai di qualche settimana invece la notizia che Bertolaso, capo della protezione Civile, dava deliberatamente in affido dei lavori pubblici a suoi amici in cambio, a quanto sembra, di favori sessuali, soldi, posti di lavoro per amici e parenti.
Nel frattempo si scopre che in Abruzzo la ricostruzione si e' limitata alle famose New town che, a mq, ci sono costate quasi il doppio del prezzo di mercato, disgregando comunità e famiglie.
Il centro storico dell' Aquila, invece e' fermo ad aprile scorso, quintali di calcinacci ancora per le strade e cittadini, commercianti, studenti che non sanno quando potranno rientrare in case che, come da perizie effettuate, potevano essere sistemate a prezzi molto inferiori a quelli sostenute per la costruzione delle new town.
Le piogge di queste ultime settimane, inoltre, hanno dato corpo a quel famoso "rischio idrogeologico" di cui l'Italia soffre da decenni.
Paesi interi in Calabria e Sicilia (e mi devi credere ho visto scene veramente apocalittiche) che smottano, costoni di montagne che si staccano e scendono a valle, fiumi di terra e fango che inghiottono ogni cosa.
La disoccupazione ormai si tocca con mano, ognuno ormai conosce qualcuno che rischia la cassa integrazione o di essere licenziato.
La Fiat ha messo in Cassa integrazione 30.000 persone.
Altre migliaia di persone provenienti dal settore dei call center andranno a spasso tra poco.
E anche da noi, a detta del Presidente *******, si rischia di morire in poco tempo se non si prenderanno scelte importanti, scevre da indicazioni politiche.
La bella notizia??
Il festival di Sanremo si e' concluso con buoni ascolti e presentando anche discrete canzoni.
Primo e' arrivato tale Scanu, diciannovenne uscito da Amici di Maria de Filippi, e secondo Pupo affiancato da un tenore e Emanuele Filiberto.
Si.
Emanuele Filiberto di Savoia.
Il problema e' che cantavano una canzone dal titolo "Italia Amore Mio".
Sbaglio ad essere veramente preoccupato?

Salutami il mondo, G.D.A

…bene, ora qualcuno, o qualcosa magari (visto che ha più neuroni un catalogo ikea jamaicano che un nostro politico), ci potrebbe spiegare come tutto questo è possibile in un paese come il nostro?
Se volete posso fare la domanda in tutte le lingue delle persone che me lo hanno chiesto, tante!
Fortuna che la strada è lunga, ma quanto male mi fa tutto questo…??

p.s.: sto maturando l'idea di aprire una pagina nel blog al riguardo, un contenitore libero di pensieri, veri pensieri, suggerimenti???

Andrea, Kathmnadu