"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole."

Charles Baudelaire

Percorsodiviaggio


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mercoledì 15 settembre 2010

IL mago di Oz...vediamo và...

E' la mezzanotte ed un minuto in Quel di Beli (Kuta purtroppo) ma qui, dopo 319 giorni da Quel treno per Beri, si interrompe il mio viaggio via terra (il primo spero).
Dopo non so quanti km e quante cose attraversate dai miei sensi, ma ancor più in me, si interrompe parte del mio sogno.
Purtroppo non ho trovato un modo che sia uno di arrivare in Oz senza volare, ed il tempo mi ha limitato. Prendo il mio primo aereo per il "giro di boa", il punto più distante da casa (ma anche il più vicino grazie ai miei zii e alle mie cugine), non solo per quella geografica ma anche per quel che oggi ignoro davvero, per la prima volta...
Dopo quasi 11 mesi non so davvero cosa aspettarmi, forse perchè non lo vivo come i precedenti confini, quelli veri, quelli a "contatto", quelli che esistono ma in fondo non ci sono, dove tutto cambia ma tutto rimane uguale e dove la vita segue sempre il solito filo, quello dei molti, semplicemente...
Troppo da dire, troppo da scrivere, ma non sono riuscito nemmeno ad aggiornare il blog (sono indietro di un mese).
Quindi?
Quindi avanti, quindi...someone over the rainbow...


Andrea, Kuta, Bali, Indonesia...Asia.
(ma solo per poche ore)

...update soon...

martedì 14 settembre 2010

C'eravamo tanto odiati ma alla fine...

Turisticamente mi metto in cammino setacciando la fantomatica città in cerca dei luoghi d’interesse, primo fallimento le Petronas Towers; arrivo tranquillo e mangiato verso le 12 ma non mi fanno entrare (e che pillole).
I biglietti per assistere all’imperdibile spettacolo sono contati e solo i pochi “fortunati” che appestano l’ingresso (di questo bieco enorme centro commerciale costante dimostrazione del vuoto umano) fin dalle prime luci dell’alba hanno il privilegio di guardare la città dall’alto…alto, saranno 30 piani.
Impettite, ma col velo, le signore mi mostrano le foto della ressa del mattino.
Se vuole il biglietto deve venire alle 7, non immagina quante persone vogliono salire su.
Si si, mo me lo scrivo…
Mi aggiro per le strade di questa moderna città ma tutte quelle scritte, pubblicità, colori, palazzoni, monorotaie, messaggi subliminari, suoni, ect, mi fanno venire il mal di testa, quindi decido come sempre di ispezionare il lato ”b” immediatamente dietro le apparenze.
E infatti come di consueto tra le viuzze subito dietro le facciate intravedo la normalità.
Donne sulla strada con sgabelletti proprio fuori dalle cucine dei super ristoranti che puliscono verdure e lavano piatti nelle bacinelle di plastica, sorridenti e simpatiche come sempre, gruppetti di adolescenti alternativi, sporcizia, palazzi devastati, sorci, scimmie che rubano cibo dove possono (visto che il cemento gli ha tolto spazi e provviste), invitanti luridocarreti di cibo, poveri e mendicanti…insomma la solita Asia, gli puoi rifare le scarpe, il mantello o “insegnare” chissà cosa, batte sempre col suo cuore…bene.
Finito il tour dei vari Merdeka, lake garden, central market, moschee, templi e tutto l’ambaradan, decido di cambiare ancora g.h. (nonostante in una delle mie ricerche mi sono un po’ vergognato quando un gentile monaco dello Sri Lanka, convinto che fossi un ospite della pulciosa dimora, mi ha guardato indegnamente dopo che gli ho detto che per me era troppo costosa…pensava lo prendessi in giro, un monaco, non mi sopporto più!), ero si induisticamente vicino ma non proprio nel cuore pulsante.
Mi trasferisco a Little India, sede dei miei pasti, delle mie birrette economiche, del dolce suono dell’olio da friggere e dell’atmosfera che solo i figli di bollywood sanno darti…e poi la g.h. è la migliore trovata in città.
Sono stato anche alla piscina comunale dove (ovviamente) non mi hanno fatto entrare con i miei bermuda e costretto ad affittare un costumino aderente abbastanza effeminante (e dire che le donne avevano velo e muta) e come giaciglio del comodo cemento armato ai bordi; c’è un bel prato nei pressi a dire il vero, ma con divieto di entrata.
Ma chi è il sindaco Cetto Laqualunque??? non li capisco sti malesi.
Il lunedì vado all’ambasciata ma non prima di passare al centro assistenza per cambiare la tastiera del mio laptop (da un po’ mi dava problemi impedendomi di scrivere ed aggiornare il blog) e anche senza garanzia me lo fanno gratis, bravi pischelli psichedelici!
Arrivo con i miei usurati pantaloni lunghi pakistani ed entro.
Il gentile impiegato mi vede e senza farmi fare fila e biglietto mi chiama da una parte del vetro.
Piuttosto scuro in volto ed imbarazzato mi dice che il supermegavisore non ha avallato la domanda di due mesi per il visa, ha tentato di spiegare la cosa ma nulla, me ne può dare uno come per il VOA (visa on arrival) che posso fare in qualunque punto dell’Indonesia decida di entrare (e pagandolo la metà), mi rimborsa e mi rassicura sulla possibilità di estenderlo una volta nel paese in qualunque immigration office.
Si scusa e mi saluta.
Beh ci ho provato, sapevo che sarebbe stata dura ma ci avevo creduto,  no problem, valuterò il da farsi una volta li tanto è sempre così, quando pianifico vanifico…tranne la partenza per Malacca.
Il bus mi lascia nel mezzo del patrimonio Unesco, tanto per cambiare.
Il centro è tirato a lucido come una bomboniera da matrimonio, “quasi” cozza con i 7 km di città fatti pocanzi però è davvero gradevole.
Cerco l’alloggio consigliatomi dal monkey tra le belle vie del centro.
Arrivo ma non lo vedo.
Nei pressi leggo un mini cartello con scritto House of Kititto, un anziano signore intento a braciare spiedi di porco mi fa cenno di salire, 2° floor mi dice.
Potrei non fidarmi?
Arrivo al secondo piano ed entro in una bisca fumosa, un capellone sessantenne mi dice che ho sbagliato (ma come??) mi accompagna al piano di sotto, li è la g.h.
Il piano terra è il primo piano.
Entro e mi accoglie un simpatico ragazzo, si chiama Kent, mi mostra l’abitazione.
Quattro camere, due bagni, una cucina ed un salone che è l’entrata.
Il dormitorio è composto da due letti, 2,50 € a notte, dopo 3 notti una è gratis, dopo 5 due gratis, acqua, caffè, lavanderia…ok la prendo!!!!
Praticamente è un homestay molto home e parecchio stay.
Kent è malese del Borneo e la moglie Monica malese giornalista, sono due angeli in terra, cordiali, disponibili e altruisti al limite del comprensibile.
Da soli 6 mesi hanno preso in gestione quella che era inizialmente una grande g.h. fino a quando i precedenti padroni non si sono separati e con loro anche le mura.
Immediatamente perlustro la città, vicino la g.h. ci sono molte moschee e scuole musulmane, persone più distese di quelle incontrate sin ora, sorrisi, occhi amici e ristoranti :-).
La parte “patrimonio” è davvero bella e piena di turisti, un po’ irreale a dire il vero.
Subito mi dirigo verso la collina dove c’è la chiesa di San Paolo costruita dai portoghesi nel 1521, di cui Terzani parlava nel suo libro descrivendola come un posto tranquillo dove leggere all'ombra gli alberi e dove si respirava ancora l'aria della vera Malesia...
Oggi quel panorama è soltanto un ricordo e la chiesa (quel che ne rimane) per tutti non è altro che la tappa di un tour con tanto di ridicole foto ricordo e priva del dovuto rispetto, da parte di tutti, come se io andassi a Varanasi o Esfahan a fare foto stupide con gli amici arrampicandomi indisturbato ovunque senza curarmi minimamente del significato del luogo, amareggiato.
La città mi piace parecchio nonostante la falsificazione storica degli edifici, quei strani rumorosi riscò e tutte le mostruosità che stanno costruendo dopo la certificazione Unesco, non lo dico io ma gli abitanti, poi è palese.
Tra la bella Chinatown e la solita buonissima Little India, very little qui, ci sono di mezzo i canali…
Ahimè inabitati da ogni razza di pesce esistete sul pianeta per via dell’incredibile sporcizia dell’acqua, tranne che per lui, il varano!
Principalmente "bazzicano" nei pressi del canale dove sono le abitazioni dei più poveri, quelle baracche di legno che hanno pensato di nascondere con delle tendine di luci di Natale..eh...ma praticamente sono ovunque, anche nei piccoli canali fognari che come in tutta la Malesia sono all’aperto; vere e proprie brutture estetiche ma ancor più pericolose trappole, come in Iran e Pakistan (ma che è un must musulmano?).
Nella g.h. c’è solo un altro cliente, Silka, tedesca trentottenne yogista/salutista/meditazionista/serista e amante di Cherating, poche parole tra noi, doveva stare qui 3 giorni ma ormai sono due settimane che predica la fuga e non sa dove e perché andare…mah.
Poi un giorno è arrivato Johnnie neozelandese di origini irlandesi, insegnante di matematica all’università di Auckland e robocop fuori dai movies, dorme nel “dormitorio” con me, lui fa flessioni e piegamenti, io ronfo e rifletto sul perché di molte cose, ma senza “radici quadrate”…due mondi lontani.
Ad ogni modo alla house si sta benissimo, passiamo le giornate praticamente tutti insieme, Kent e Monica ci illuminano sulle tante “angolazioni” del paese, le diversità celate dal solito 1, mi leggono mani e piedi e traducono finalmente i vari fogliettini rimediati nei templi buddisti (e tutti assolutamente azzeccati), ci portano in giro per la città facendoci vedere e conoscere luoghi più veri come il mercato musulmano fuori dalla città vecchia (è iniziato il ramadan con i relativi muezzin che cantano tutto il giorno sotto la finestra, siamo proprio sopra la moschea principale) dove ogni pomeriggio centinaia di persone si ritrovano per acquistare cibo in attesa del tramonto, un tripudio di odori, colori, fritti, musica e gente sorridente, nonostante il digiuno.
Abbiamo assistito con loro anche ad una festa cinese organizzata tra le viuzze di Chinatown, come cerimonia hanno fatto un gran falò con banconote finte e per cena…canne di babù alla brace e porchetta, dopo 10 mesi sono riuscito ad azzannarne un pezzo, ah, D’io benedica il suino.
Un paio di sere abbiamo anche cucinato insieme e ci siamo dedicati all’ hotpot (o hotboat, ognuno lo chiama come vuole), pietanza vista precedentemente nel mio girovagare asiatico, davvero gustoso e soprattutto conviviale.
Siamo partiti a fare la spesa (al frequentatissimo carrefour, anche qui, tristezza) e tra le varie cose acquistate per la cena ho fatto una piacevole conoscenza, la tapioca chip…no tarapiotapioca come dico sempre ai scocciatori di strada, bensì vere e proprie “patatine” ma decisamente migliori…ormai sono dipendente, anche perché credo facciano meno male…credo, me lo sono inventato :-).
Torniamo da fare la spesa con tutte le buste piene di verdure, pesce, carne e quant’altro, ma proprio una volta fermi con la macchina parcheggiata sotto casa mentre stavamo scendendo, odo uno strano rumore, come di pera matura, mi volto e non vedo nulla, abbasso lo sguardo e vedo le due buste bianche della spesa appoggiate ai lati del canale sul bordo della strada, due mani e la testa lucida di Johnnie....si è scatafrantumato dentro il canaletto dell’acqua, tento di aiutarlo ma con un movimento stile parallele di atletica me lo trovo barcollante davanti a piedi nudi e vagamente infangato, lo avevo detto che sono pericolosi???
Fortunatamente è alto e "palestritico" quindi non si è spezzato in due parti ma ha rimediato solo qualche graffio e contusioni varie e un pò di celato spavento, ma tutto ok la cena è salva…
Alloraaa ti muovi che ho fame????
:-D

Andrea, Malacca

mercoledì 8 settembre 2010

Unafaccialgiorno IV

Appeso a un semaforo


Kuala Terengganu.
Arrivo in serata tra pioggia e traffico, già rimpiango le isole.
La città è sede dei migliori bazaar della Malesia, di splendide moschee e del palazzo del Sultano, chiuso al pubblico...credo saranno due giorni regalati al paese.
La città è sinceramente poco attraente, i mezzi di trasporto nei pochi luoghi di interesse latitanti o in fase di “creazione”, mi dicono (e se riprendono i terribili bus del luogo siamo fritti), i bazaar sono allestiti con prodotti sintetici, maglie di calcio internazionale e cianfrusaglie di poco conto; nota positiva la bella Chinotown, bella vero, ma ristrutturata in maniera surreale e ancora in via di “sviluppo” turistico, insomma, potevo tirar dritto.
Devo dire però che in questa parte di costa la vita musulmana è abbastanza reale (anche troppo vista la quasi totale assenza di indiani e cinesi), tanto da scambiarmi per pakistano e fermarmi in mezzo alla strada.
Vero che in Malesia l’islam è generalmente più free, le donne portano dei semplici veli colorati, simbolici diciamo, girano tranquille con le amiche, lavorano, vanno in moto, insomma fanno vita “normale” a differenza dei paesi del medio oriente (ci sono sempre quelle in burka, per lo più turiste), anche se nulla in confronto a Georgetown!
Ricordo che una sera con Marco siamo andati nella zona universitaria a trovare degli amici tra i grattaceli adibiti a residence per studenti stranieri, con piscine, palestre, guardiani, ect…altro che camere affittate a Roma.
In particolar modo mi colpirono i ragazzi/e provenienti dall’Iran.
Tutti vestiti “occidentalissimamente” male e con atteggiamenti fin troppo yeah, in particolar modo le ragazze, private degli eccessivi obblighi “religiosi”, girano in shorts, magliettine firmate, capelli svampati e truccate in maniera spaventosa, di poco gusto oserei dire; potere delle repressioni espressive, delle imposizioni sinceramente esagerate di quei paesi che fin troppo seguono la “via del corano” e che portano ad una ribellione estrema non appena fuori dai loro confini.
Con tutto il profondo e sincero rispetto che oggi nutro per i paesi islamici dopo averli visitati, vissuti un po’, e avendone conosciuto le straordinarie persone che li abitano, dico che sarebbe meglio capire piuttosto che imporre.
Nessuno vorrebbe tornare in Iran, in Pakistan o altrove, nessun ragazzo e soprattutto nessuna ragazza, e tutti hanno parole colme di rancore…come biasimarli, cercano solo di essere liberi di “essere”, come gli altri...
Immediata la decisione di abbandonare Terengganu e dirigermi verso Cherating, luogo abbastanza tranquillo consigliatomi da alcuni “passanti” e indicatomi da Marco come possibile piacevole meta.
Il luogo è situato alla fine dello stato ed è composto da una via!
È proprio a ridosso della spiaggia e li si concentrano guest house, bungalows, un paio di resorts, tre ristorantelli e un mini mini mart, intorno il nulla.
Meta preferita di solitari europei in cerca di relax e quiete, o gruppetti di giovani malesi in cerca di una serata al limite, birretta e patatine.
Dovrebbe essere una delle poche zone dove è possibile “surfare” ma le onde sono piuttosto basiche e non fanno altro che intorbidire l’acqua; la spiaggia è parecchio lunga ma senza la minima poesia, tranne quella del vento e dei “doni” della marea.
Una notte è  stata sufficientemente emozionante, non faccio yoga ne meditazione, cioè solo underground, e non sono pensionato, se poi voglio una birra me la bevo, anche se qui costa cara, sgrunt!!!
Decido di andare direttamente a Kuala Lumpur, che insieme a Singapore, è l’icona dello sviluppo del sudest asiatico.
Arrivo nei pressi di chinatown a cavallo della mitica monorotaia, all’uscita un malese rokkettaro figlio del blues mi fa da cicerone sino all’unica guest house che conosco.
Entro ed assisto all’ultima deflagrazione conformista del mio errare.
Tutti stranieri monoumanici finto alternativi spappolati, anche un pò freejazzpunkinglese ma fondamentalmente cuccurucucu paloma.
Piedi nudi (ok sono abituato e mi piace, un must da mesi), moquette, fumo, cianfrusaglie e stanze loculo-flashate aperte per condividere ogni atmosfera; al terzo piano dello stabile stile Amsterdam cioè ripidissime scale con scalini di 3 cm (non solo per i scalini…), arrivo alla mia possibile stanza, ma non prima di oltrepassare la fumosa area comune occupata da uno strano tipo seduto in posizione del loto sfiorito con capelli lunghi, barba lunga, tatuaggi lunghi, occhi persi nel nulla (ma annullati da qualcosa) immerso nelle sue allucinogene tele dipinte…cioè, molto pulp, pure troppo!
Ringrazio il curioso ma gentile ragazzo musulmano e riparto.
Pochi metri e sono in mezzo a chinatown detestabile mercato tarocco all’aperto per turisti, è tardi e alla fine mi sistemo in un ex cinema adibito a g.h., nulla da chiedere alla morte interiore ma cheap e con wi fi.
1° mission del mio soggiorno il visto Indonesiano.
L’ambasciata è a 250.000 anni luce dal centro, nonostante il mio delirante senso del risparmio (e appurata la totale assenza di bus che arrivano li), mi vedo costretto a prendere un taxi, il primo, di sempre…
Mi faccio convincere dal padrone indiano della nuova locanda situata poco distante dal “cinema”, sulla collina vicino al tempio indù zona piacevole devo dire (inutile, l’India mi manca troppo).
Con misurata gioia comprendo che il taxi non è un lusso, quasi 45 minuti di viaggio per una cifra vicina al ridicolo (perché ho faticato disumanamente in tutti questi mesi??? Sei un caprone!).
Arrivo e fortunatamente è ancora aperta, mi precipito dagli omini di guardia per il pass.
Lei non può entrare?
Ma se nemmeno ho parlato.
Si affaccia dal vetro, mi squadra e mi dice guarda alla tua destra.
C’è un maledetto cartello con le immagini degli indumenti consoni o meno.
Io ho le X su tutto!
No pantaloni corti, no sandali no tongs, e per lei velo e zero cm di pelle al sole.
Noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Cerco di inscenare le solite manfrine tra un awanaghess di Albertoniana memoria, un alex drastco e la faccia da cucciolo, ma niente è inamovibile.
Mestamente esco e impreco su me medesimo, è venerdì e devo aspettare fino a lunedì per tornare!
Mentre mi dispero noto una coppia che entra, lei ha le infradito.
Mi precipito nella guardiola e faccio notare la cosa, perché lei si e io no? Come mai questa disparità di trattamento? Faccio appello all’articolo…ok, zitto, metti questi.
Mi rifila un paio di pantaloni da ginnastica unti dal neolitico.
Ora va bene, fotocopia del passaporto?
Non ce l’ho.
Senza non entri.
Grrrrrrrrrr
Riesco e giro nei dintorni, vedo un centinaio di persone in fila, sono Malesi in cerca di permesso per l’altro emisfero, li in una parte distaccata dell’ambasciata c’è una fotocopiatrice, mi accodo, fanno fotocopie gratis per loro.
Mi presento sfacciatamente al bancone e la signora mi guarda mentre impersono il cucciolo Alfredo, sorride mi fa una copia e mi saluta.
Finalmente entro.
Mentre compilo la domanda per i due mesi di permesso (ne danno uno se viaggi via terra) ometto il come e il quando lascerò il paese, il funzionario mi fa notare la cosa ed io gli spiego la mia storia, divertito ed incredulo chiama le sue colleghe velate raccontando di come sono arrivato in Malesia “a piedi”, la cosa diventa di dominio pubblico ed anche le 80 persone in attesa ridono…di cosa????
Mi dice ok non ci dovrebbero essere problemi, parlerò con il supervisore, torna lunedì a prendere il visto.
Lo ringrazio ed esco, per la gioia decido di tornare a piedi sino al centro, sfacchinata inimmaginabile ma compensata da una piacevole euforia decido anche di fare una buona azione.
Mentre cammino tra i grattaciel, gli immensi negozii e gli hotels superlusso, mi fermo a leggere uno dei tanti menu dei sfarzosi ristoranti; quello teoricamente italiano è davvero uno spasso, le portate sono scritte in italiano, malese e inglese ma totalmente sbagliate, in particolare per un piatto che era composto anche da …seno di anatra bollente… non ho resistito e sono entrato (vestito come un bandito) e tra un hello mr, ect, ho fatto notare la cosa al maitres del ristorante, quando ha capito cosa c’era scritto si è imbarazzato all’inverosimile mi ha ringraziato, salutato e liquefatto verso la cucina tra i sorrisi delle varie cameriere.
È sempre bello far del bene…ed è stato davvero esilarante :-D.
Ora un tranquillo week end a K.L.

Andrea, Kuala Lumpur

venerdì 3 settembre 2010

I Ratti di Mompracem

Svegliaaaaaaa!!!! Devi scendere qui!
Mi dice la gentile mamma del piccolo bambostro irrequieto con cui ho giocato gran parte del viaggio, fin quando la stessa non gli ha dato due saraghe sui glutei concedendomi così il meritato riposo.
Sono a Georgetown nel minivan che ho dovuto contrattare a Hat Yai, inizialmente dovevo prendere il treno ma alla stazione mi hanno sparato un prezzo più alto e per giunta sino a Butterworth (valore del burro???)!!! 
Mi scaricano in strada alle 15 di una qualunque torrida giornata tra petulanti signori che mi chiamano ovunque per offrirmi un alloggio.
Io ancora assonnato mi accendo una sigaretta e seduto sullo zaino tento di capire dove sono.
Non ho letto informazioni o stampato mappe, nulla, in lontananza vedo un vicolo, Love Lane, vicolo dell’ammorre, un segno??? (si d'er monopoli).
Mi incammino e dopo poco trovo una g.h. economica con un dormitorio, il padrone mi dice che a breve lo vuole smantellare e farci altre stanze (?), dopo averlo visto gli do ragione.
Il reparto “fine delle grazie in Malesia, provate Lourdes” è una logora stanza con 10 letti ed un lavandino, i residenti sono vari e quasi tutti "accappottati" nel letto, buongiorno…
Mi danno un lenzuolo e mi chiedono 10 ringgit, ok.
Con il “velo pietoso” (è proprio  il caso di dirlo) copro l’esausto materasso e mi concedo una doccia riflessiva, domani cambio alloggio!
Tra i mitologi della residenza c’è anche lui,  Adriano detto "er pirata",  romano di San Lorenzo esiliato in quel di Penang per via di un problema con il visto thai (in Malesia concedono tre mesi di permanenza gratuiti, in qualunque modo si raggiunga il paese non c’è bisogno di visto) .
Raccontare la storia di quest’uomo è assolutamente impossibile; ex tifoso di curva sud, ex paracadutista, ex ristoratore, ex incidentato (per ben due volte), ex dato per spacciato, si è e dato all’Asia e al buddismo (un po’ a modo suo a dire il vero, per giunta “iniziato” vicino Casaprota, piccolo il mondo eh...), ha trascorso gli ultimi 9 mesi in meditazione presso vari templi thailandesi ed ora è in attesa del visto per l’India, ultima tappa del suo migrare…forse.
Immediatamente mi metto a girare per la città in cerca di una nuova dimora ma soprattutto cibo.
Adriano mi consiglia un posto dove va lui tutti i giorni per l’unico pasto della giornata, quello delle 12, come da vita monastica buddista, e non sbaglia; esagerata porzione di riso e varie verdure servito sulla banana leaf e mangiato senza postate, cioè con le mani, e acqua di "pura" fonte, il tutto meticolosamente indiano per la modica cifra di 1 €, mi sembra di essere tornato a Calcutta…Dio benedica l’India, con tutto il rispetto per la cucina thai e le buone maniere!
Little India è davvero India, le persone sono indiane (anche se malesi di generazione), i suoni, i profumi e le assurdità quasi le stesse, mi piace un bel po’.
Poco più in là Chinatown con i suoi vecchi splendidi palazzi, le botteghe con le tipiche persiane in legno, i banchetti di cibo, di the e i venditori di ogni genere; il tutto circondato da grattaceli in lontananza da una parte ed il mare dall’altra, ha davvero un gran fascino questa città, non credevo.
Il padrone della bettola ne ha un altro paio sulla stessa via e mi concede un stanza singola per 18 ringgit con wi fi free proprio qui accanto, accetto e mi trasferisco nella cella singola.
Le giornate le trascorro girando come al solito e facendomi trasportare dalle contraddizioni di questi primi giorni malesi, tra differenti etnie, religioni e colori, il tutto sotto la stessa bandiera e sotto lo stesso numero, l’1.
Ovunque si manifesta tramite slogan la necessità di coesione tra le differenze.
Malesi popolo di musulmani, maggioranza della popolazione e detentori del potere, indiani e cinesi di origini e con forte senso di appartenenza, cristiani, stranieri…
Dalle pubblicità sorridenti e confortanti in strada, nelle tv, nelle radio, tutte all’insegna dell’ 1, tutti sotto un'unica bandiera…”sotto” è il caso di dire perché nella realtà non è così...ma questa è un'altra storia.
Comunque ci sono anche i ratti più grossi e disinvolti mai visti, sfacciati!!!
Prima di lasciare Penang non potevo non contattare Marco il monkey, altro giramondo italiano stanziato qui a Georgetown ormai da un po’ (troppo?)
Sono stato suo ospite, e di Kitt, per un paio di giorni in cui sono state affrontate tematiche ideologicominchiatiche così profonde e complesse da non poter essere rivelate in questo momento storico.
Quel che ne è scaturito, comunque, potrà in futuro salvare l’umanità.
Tempo al tempo e…che la serenità regni sovrana.
Ciao Marco, grazie ;-)
Dopo 8 giorni saluto la città, Adriano, Marco e le altre anime inquiete.
Il piano era di scendere lungo la costa ed arrivare sino a Malacca, ma dall’altra parte che c’è?
La curiosità mi ha spinto ad est e come consigliatomi anche dal monkey faccio tappa alle Perhentian Islands.
Viaggiare in Malesia è effettivamente comodo, bus, strade e tutto il resto sono efficienti e moderne, anche troppo.
Primi produttori di olio di palma del mondo, ci tengono lo so.
Sapevo della famigerata aria condizionata malese ma non avevo idea che si viaggiasse in una tormenta.
Inutile chiedere di abbassare l’aria!!!
Vedevo le persone alla stazione con maglie, coperte, moon boot e pelli di yack ma non potevo immaginare tanto, ed io solo con il mio sarong e la fascetta per i capelli, ibernato!
Dopo una inutile notte a Kota Bharu (utile solo a comprendere che: la quasi totalità degli abitanti sono musulmani e con lo “stile” di vita che ne consegue, ci sono un KFC e un MC’D per ogni abitante, i sorci si limano le unghie sui marciapiedi, i prezzi sono elevati!!!) nel pomeriggio mi imbarco a Kuala Besut e arrivo a Pulau Kecil, la più piccola delle due isole ed anche le più economica…umm…
Mi faccio “lanciare” a long beach in cerca di sistemazione e visito tutte le strutture della spiaggia, circa 60 in 50 mq, tra l'immane massa di umani occidentali riversa sulla spiaggia, tutte hanno prezzi elevati (per me!).
Trovo in fine un letto in un dormitorio proprio in riva al mare per 30 ringgit!!!
Alex, il ragazzo che la gestisce, è francese atipico e simpatico, vive ormai in Malesia da qualche anno deciso seriamente a starci!
Subito troviamo un intesa nonostante la rivalità calcistica (viste anche le rispettive figure della coppa passata), che sarà fondamentale per la mia permanenza.
L’isola non ha strade, non ci sono veicoli, si attraversa da parte a parte grazie ad un sentiero in mezzo alla giungla, ad ogni modo da qualunque punto si guardi è meravigliosa.
L’acqua turchese, pulita, trasparente, coralli, sabbia bianchissima e vegetazione rigogliosa…sogno.
L’esplorazione di rito parte l’indomani e come da “capro…copione” pur di non pagare il taxi boat passo l’intera giornata a camminare tra gli unici due sentieri attraverso la giungla, tra il sali e scendi continuo, gli infarti provocati più dai varani che dalla fatica (fino a 150 cm di lunghezza!!!), piccoli bungalow nascosti e suggestive calette deserte dove rigenerarsi; arrivo sino al villaggio dei pescatori, unico luogo abitato.
La strada finisce qui!!!
Come? Vedo la mia spiaggia da qui, non sarà più di un km.
Taxi boat o torni indietro…
Facile immaginare il capronico epilogo!
L’indomani mi concedo la mia prima, vera giornata di snorkeling, con la maschera!
Insieme a tre cinesi anemiche ed incredibilmente imbranate trascorro la giornata tra le meraviglie degli “abissi”, tra l’inverosimile e suggestiva varietà di coralli, nuotando tra pesci di ogni colore e dimensione, barracuda, squali (non più di un metro e mezzo) e tartarughe marine giganti.
Come fluttuare nella fantasia.
Il divertito e gentile ragazzo della barca doveva ogni volta venirmi a ripescare, mi sentivo come un bambino nella fabbrica di Willy Wonka.
Non avrei mai immaginato di rimanere rapito da una cosa simile, ma sbagliavo.
Stupito ancora una volta dalle meraviglie di questo Mondo.

Andrea, Perenthian