"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole."

Charles Baudelaire

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sabato 24 aprile 2010

Goood mooorning...e "svejate!"

Halong bay, Halong bay…tutto il mondo vietnamita ti stressa e propone l’imperdibile gita, insieme all’immancabile open ticket, per il luogo naturale più bello del paese, tutti.
Si parte dalla gita giornaliera fino alla tre giorni su veliero cinese, ovviamente i prezzi sono in $ e variano a seconda dell’agenzia/hotel/motobaiker/previsioni meteo e quant’altro.
So che è un posto da non perdere ma in questi giorni ho capito quanto mutevole siano le popolazioni.
Certo è che in nessun paese fin ora visitato non sia stato necessario capire, cercare, “creare” per non essere fregato dalle diversità di esborso dovute dallo straniero, però dopo pochissimo eri in grado di muoverti senza “pericoli” di questo genere, ovvio poi che in paesi più poveri tentino di alzare i prezzi però capiscono in tempi rapidi chi hanno di fronte, nel mio caso è piuttosto semplice J.
Qui è moooolto più complicato, tutti tentano costantemente di manipolare la realtà in qualunque cosa e parlo di tutto, dal cibo alle bevande alle sigarette, dagli abiti ai cessosouvenir, dagli alloggi fino ai mezzi di trasporto, inferno del viaggiatore disorganizzato, non capirai mai qual è il vero prezzo di un biglietto e non solo perché è quasi un impresa comunicare.
Es.: minivan da da a dò, arrivi e l’autista ti spara 50.000, lo guardi e capisci che è uno str…come la maggior parte degli autisti del pianeta (opinione personale dopo 15.000, credo, km e qualche bus preso, scusate!), giro, vago, chiedo (?) entro in stazione e vado alla biglietteria, 30.000, anche se sotto c’è un 25.000 cancellato, nuova tariffa vecchio timbro mi “dice”, la smaterializzo con lo sguardo.
Partiamo e tutti gli altri a metà strada pagano direttamente l’autista in base al tragitto, qelli che scendono con me pagano 20.000!!!
Capito? Nemmeno alla stazione dei bus ti puoi fidare; altro esempio di una quadrata settantenne canadese zaino in spalla: voleva prendere il treno per Sapa e fatta la fila la "simpatica" impiegata gli ha detto che poteva prendere solo quello notturno per i turisti, i treni pubblici giornalieri sono solo per i locali (non è assolutamente vero) e costano ¼ aggiungo io, alla fine è riuscita a fare il biglietto ma dopo 2 ore di lamentele e imprecazioni pagando la 2° classe al prezzo della 1°!!!
Ovviamente questo modo di fare non riguarda il totale degli abitanti ma…una buonissima fetta!
Quindi per capire cosa fare per vedere la famosa bay di cui sopra mi sono sbattuto e scervellato per giorni, ma tutti sparano cifre da 50$ in su per 1 notte in barca (c’è chi ne chiedeva il doppio), troppo visto che lo stipendio medio di un individuo è circa il doppio.
Mentre seduto sul bordo del laghetto rifletto sul da farsi mi si avvicina un tipo distinto con la 24 ore e comincia ad attaccar bottone; scambiamo piacevoli opinioni riguardo alla città, la Roma (…za Roma), al paese, al modo di fare del “vietnamaro” nei confronti dello straniero e quant’altro, lui mi da ovviamente ragione e si scusa non condividendo questi atteggiamenti, ma è così (?)…lavora come receptionist in un albergo di lusso e mi consiglia di rivolgermi a delle agenzie, non agli hotel, e di capire certi comportamenti per il mero denaro (mai!) e…in un attimo ho deciso, vado a Cat Ba Island!
Lo ringrazio della piacevole chiacchierata e lo mollo un po’ ebete sulla panca, mi dirigo alla stazione dei bus e mi informo sulle partenze (visto che la petulante receptionist del mio hotel mi aveva detto che l’autobus c’è solo all’alba, costa di più, scomodo e bla bla, non è vero!), gli autobus partono tutto il giorno dalla stazione, arrivano al porto, ti imbarchi su un traghetto razzo e in un lampo sei sul bus per Cat Ba Town, 8$ e nonostante c’erano tutti vietnamiti sono convinto che si trovi a meno.
Il pomeriggio dopo sono sull'isola.
Il paesaggio è sorprendente almeno fino alla cittadina che ovviamente è tempestata di hotel, rentamelo, ristoranti e vasche di pesci, mitili e crostacei pronti per la tavola, ovunque!
Però non è male devo dire ancora si salva ed è pieno di turisti locali, piacevole.
Il tempo non è granché, ci risiamo, però riesco ad affittare uno scoter per 2$ invece di 5 e giro tutto il giorno in questo spettacolo naturale, ci sono poche strade che tagliano l’intera isola, traffico zero ed una natura dalla selvaggia prepotenza, strabiliante, sembra davvero Jurassic Park.
Ci sono promontori che spuntano ovunque tra la foltissima vegetazione, caverne, il parco (chiuso, co…), campi coltivati tra la rossa terra, villaggi spartani semplici ma vitali e con persone davvero cordiali, sembra un paradiso, rimango davvero colpito e passo una giornata favolosa.
Tento di organizzare la gita di un giorno nella baia ed i prezzi anche qui seguono l’andamento di wall street, ne contratto una a 17$, gita tra i “picchi” con pranzo, visita in kayak nelle caverne e monkey Island.
Purtroppo il giorno dopo c’è un diluvio e rinuncio nonostante l’insistenza del personale, no, non mi va di buttare soldi anche se smette di piovere verso pranzo, ma va bene così sono felice ugualmente di aver visitato questa splendida e ancora turisticamente vergine isola, anche se per poco.
Non lontano da Cat Ba Town sono iniziati dei lavori mostrousi per la costruzione di un’area turistica spaventosa con grattacieli, hotel, centri commerciali, cemento e attracchi per navi di lusso, purtroppo tra qualche hanno anche questo paradiso perderà un pezzo di meraviglia, un grande pezzo di costa.
Dopo i tre giorni sull’isola mi dirigo ad Hoi an centro del paese, con lo sleepping bus pieno, viaggio atroce.
Il luogo non è male, ex citta' portuale internazionale addirittura sin dal II° secolo d.c., con affascinanti edifici storici dalle diverse influenze architettoniche, le sue stradine, i templi e le spiagge.
Il villaggio è stato occidentalmente tirato a lucido e tempestato di negozi (maggiormente sartoriali con abiti occidentali), ristoranti, wine bar e pub dove il nutrito branco western si ritrova in massa per partite di calcio su maxi schermi, musica pop a cannone e birra a fiumi…
I lavori continuano incessanti, peccato perche è davvero un bel posto, infatti patrimonio Unesco…grazie Unesco.
Io decido di rilassarmi ed il pomeriggio esploro la località anche se il caldo è notevole, mi dirigo verso la spiaggia vicina, 6 km, a piedi!
Non voglio pagare un motobaiker come un volo alitalia e poi...chi mi corre dietro?
Arrivo e rimango felicemente colpito, la spiaggia è enorme, sotto le palme i sgabelletti dei ristorantelli organizzati dalle matrone locali che incitano al consumo, tutte imbacuccate con 40° .
Quasi tutte le donne, giovani e non, sono coperte dalla testa ai piedi con felpe, tute, mascherine e cappelli, altre con quei splendidi vestiti tradizionali di seta, pantalone lungo bianco e camicia lunga fino alle ginocchia, questa è un’altra delle immagini più belle di questo paese specialmente all'uscita delle scuole, insieme ai ragazzi con camicia bianca e pantaloni blu, tutti sulle biciclette a centinaia, una splendida confusione.
Passeggio sul bagnasciuga e nella mia mente (mai dare retta alla tua mente) mi convinco di poter tornare indietro attraverso il lungo mare…cammino cammino e mi imbatto in resort da mille e una notte, palme, lettini in legno matrimoniali , materassi bianchi e gazebo stile minchioner.
Ovviamente solo pochi occidentali e vietnamiti in divisa che portano bibite…mah.
Continuo lungo la costa con il vento che allevia dal caldo torrido e dopo un'enorme spiaggia immacolata vedo i "mostri".
Una serie di palazzoni in costruzione a 4 piani a pochissimi metri dal mare, uno spettacolo da brividi, tutto quel grigio in un luogo così bello, che peccato.
Lo so che è normale progresso e bla bla, ma è davvero una perdita a mio modo di vedere, sarebbe sostenibile se costruiti almeno in stile “vietnamita” (ci sono strutture in legno stupende proprio tutto intorno tra il verde e il mare), anche di lusso ma usando materiali a basso impatto ambientale, invece no facciamoci del male…
Proprio uno di questi cantieri termina il mio cammino, talmente sul mare da ingoiare la spiaggia.
Amareggiato entro, nel cantiere, da un pertugio nella rete e tra i saluti e gli inviti a lavorare con loro degli operai/ie, esco dalla porta principale sulla strada, mi tocca ritornare indietro via asfalto.
Anche se scoraggiato da quel che ho visto il giorno dopo affitto una bici (vabbè camminà però..) e vado in spiaggia, nella parte più tranquilla, bellissima tra granchietti bianchi che fanno le buche e…i turisti che sfrecciano con le moto ad acqua.
Però si sta benissimo, tira anche quel fresco venticello che porta via con se la calura ed i pensieri, che ti rilassa, distende, che ti...roonf!!!!
Che ti fa addormentare per tre ore procurandoti un ustione di terzo grado della scala riviste culinarie, edizione gambero rosso gigante!!
Io e il mare abbiamo un problema.
Squamato e dolorante mi dirigo verso Hue, ex capitale politica sotto il regno della dinastia Nguyen, di cui sono rimaste le reali tombe sparse sul fiume dei profumi.
La città è molto carina, ma la temperatura limita le mie escursioni e le loro attività, infatti nell’ora di punta tutto il maschiame vietnamita si rilassa e protegge dalla calura su amache, sdraio e sgabelletti sotto l’ombra dei parchi o all’interno delle abitazioni, a dire il vero il maschio locale passa così gran parte della giornata, le restanti gioca a carte, biliardo, karaoke, mangia, beve e fuma, altro che turchi.
In questo paese (hemm.. non solo a dire il vero) senza ombra di dubbio il motore vitale sono le donne.
Loro lavorano nelle attività (nei cantieri, campagna...), creano e curano i figli, si occupano delle faccende domestiche e qualunque altra cosa si possa fare in una giornata di 24 ore.
Sinceramente non so perché è così e per giunta le donne sono felici e sorridenti, sempre (che gran cultura J);parlando con dei ragazzi australiani, che lavorano qui da anni per una organizzazione internazionale, mi dicevano che la famiglia è strutturata in questo modo per via del recente passato, l’unico “lavoro” degli uomini del paese era combattere, quindi praticamente non erano mai in casa e le donne dovevano occuparsi di tutto, però fortunatamente le cose stanno cambiando e le nuove generazioni sono meno “riposate”.
Mah sarà, ma io tutto questo cambiamento non l’ho visto in nessuno, davvero pochi gli uomini “attivi".
E poi “fortunatamente”…per me è una grave perdita di tradizioni J.

Andrea, Hue

sabato 17 aprile 2010

Indociniamocelo...

Arrivo a Kunming senza sapere chi e dove sono, mi lancio nello slargo dove vedo un’immensa presenza di umani alla fermata, cerco di dirigermi verso il centro col bus ma nessuno parla una parola di inglese e quando tento comunicare a gesti, disegni e telepatia sperimentale le persone mi guardano indifferenti, curiose, un po’  Doh!!
Chiedo ad un’agenzia di viaggio vicina cosa fare per andare dove voglio, non semplice, ma alla fine mi indicano il numero del bus che va da “quelle parti”…
Salgo, l’autista non cambia soldi ma pur di liberarsi di me e dei miei zaini non mi fa pagare il biglietto, uomo.
Attraversiamo la città ed è estremamente moderna, pulita e luminosa, con alberi e tranquillità non tipica per una città di queste dimensioni.
Intercetto casualmente la mia fermata e procedo alla rinfusa per la città.
Buona sorte vuole che non sia lontano dal luogo del mio possibile alloggio, residenza pescata da una guida senz’anima ne copertina barattata in Nepal, datata 2006, e dopo vani tentativi di comunicazione con le entità locali decido di vagare autonomamente ed un po’ “ad culum”  per il quartiere.
Dopo aver stressato per mezz’ora ogni forma aliena locale realizzo che il posto è dietro di me in una vietta, tipico!
Entro e non mi sembra vero, tre piani, terrazzo, biliardo, ping pong, ristorante, internet free e pulizie tre volte al giorno, 30 yuan a notte.
Perfetto.
Un po’ troppo “backpakers” a dire il vero ma…va benissimo.
Ho oziato in città per due giorni.
Città irreale traffico zero, motorini 90% elettrici, bici ovunque e gli uccellini a cantare tutto il giorno, anche al semaforo.
Nei parchi, molti, persone a fare ginnastica, reiki, danza, disegno o ad imparare strumenti, tutte le età si confondono, anziani, giovani, famiglie, un prototipo di città perfetta, paradiso metropolitano.
Adolescenti con spade ed armi in legno realizzate in casa giocano vicino ai parchi simulando scene dei più famosi videogames, seri, fedeli, fantastici!
Nonostante le griffe dei negozi lo shopping e le vetrine sgargianti tutto è incastrato perfettamente nel tessuto sociale…tranne io.
Dopo due giorni prendo i miei zaini e parto per il confine con il Vietnam, si ho deciso di andare anche li, ma mentre lascio la mia dimora la gentilissima ragazza della reception mi dice ok, ma hai il visto? No ovviamente lo farò al confine rispondo io, lei mi dice che non è possibile…doh!
Chiama l’ambasciata per me e gli  riferiscono che ci vogliono tre giorni per averlo...bene, informarti prima mai eh...
Potrei avere lo stesso letto please?
Altri tre giorni a Kunming, non male devo dire, relax allo stato puro e conoscenze variegate.
La guest è davvero splendida, un paradiso di quiete ed incontri internazionali e con un personale disponibilissimo, davvero gradevole.
Vado all’ambasciata sgancio la moneta e mi danno il visto per 30 giorni!
Alla stazione acquisto il biglietto per lo sleeping bus, prima di salire un tipo strano insieme all’autista mi chiede soldi in più per il bagaglio…mentre sto per cedere tra perplessità e proteste alla romana arriva una coppia olandese che alla medesima richiesta chiama il personale della stazione, stavo per essere truffato, a Kunming, città  perfetta, città candida, città solare, città dell’eterna primavera.
I ragazzi avevano letto di possibili truffe al riguardo, io no.
Evitiamo “l’infamata” nella normalità più totale, l’autista ci odia.
Partiamo su questo ritrovato orientale che è lo sleeping bus, normale bus che al posto dei sedili ha 39 loculi/brande (per cinesi quindi 1,70 cm x 30) distribuiti su tre file a due piani, io risiedo in fondo, posto da cinque ma fortunatamente siamo solo in tre.
Dormo.
All’interno fumano, scatar…no e i bimbi evacuano liberi per mancanza di stop e toilette…autista infame.
Arriviamo al confine all’alba proprio prima dell’alza bandiera.
Il confine è separato da un ponte sul fiume, appena la frontiera si apre dalla parte vietnamita scatta una competizione tra bici, bilancieri, carretti e persone, tutti si catapultano correndo verso l’ingresso cinese carichi di qualunque cosa, frutta, vestiti, pacchi, sacchi, scatoloni.
Uno spettacolo assurdo.
Attraverso il confine con la coppia olandese, mi sento in debito per via della possibile truffa, decidiamo di prendere insieme un minivan per Sapa anche se io volevo arrivare alla stazione…
Appunto.
Prima sòla, lo paghiamo 10 volte il prezzo reale (2 euro).
Arriviamo nella piccola e dolce Sapa e subito siamo circondati da venditori e procacciatori, io mi dileguo salutando la coppietta ringraziandoli ed augurandogli ogni bene, cerco un posto consono.
Non è semplice, nella via principale del micro paese tutto è hotel, ristoranti, bakery tedesche, mexican restaurant e pizza bella napoli.
Mi sto già stranendo.
Con i zaini in spalla mi sparo tutta la città (4 km quadrati), non ci sono dormitori ed il prezzo per una camera parte ovunque da 6 dollari in su, più su che 6.
Devo dire che ogni struttura è ben curata, tutti hanno bagno in camera, tv satellitare, internet free e wi fi.
Però non capisco, sono a Sapa zona montana del Vietnam città delle minoranze etniche luogo perso nelle tradizioni più radicate…però sembra di essere a Thamel.
In effetti è così.
Tutto è modificato, alberghi ogni 33 cm, ristoranti, pizzerie e locali occidentali, le persone di “etnia” aspettano fuori dalla porta vestite con i tradizionali indumenti pronte ad assalire il colui di turno con borsette, cappelli, vesti, marjuana e “bum bum”.
Le anziane e le bambine sono le più instancabili, dalla piazza del mercato alla via principale ti seguono nonostante i gentili e sorridenti no thanks, tentando di vendere i loro manufatti, ma quando proprio capiscono che non è il caso tirano fuori buste di marjuana grosse come quelle delle patatine rincorrendoti per la via...
Riuscire ad essere garbato è sempre complicato, colei è un’arzilla vecchietta di 70 e più anni, ricorda vagamente i tuoi avi, puoi prenderla a calci???
No, però è stressante!
Dopo una estenuante, per lui, contrattazione trovo riposo in un dignitoso albergo, fico direi, 5 dollari; mi dirigo verso il nuovo tourist office senza speranze ma solo per avere info riguardo a come lasciare questo luogo.
Inaspettatamente faccio un felice incontro.
Remì, piccolo come sei, ragazzo francese di 27 anni circa, giramondo in solitaria che da 3 mesi si è fermato qui per imparare il “vietnamese”.
Parliamo pochi secondi e lui fomentato dal mio trip, molto simile al suo di qualche anno fa, mi spiega di evitare tutto ciò che penso di sapere sul luogo, facile, non so nulla.
Mi da una mappa con un breve ma sperduto itinerario proponendomi anche qualche notte in famiglie che conosce lui, vediamo.
Ci penso su e intanto affitto uno scooter per 2 dollari, invece che 4!!!, e mi dirigo verso il “dietro” del tutto, un percorso davvero arduo ma assolutamente reale, nelle 4 ore di scarpinata non incontro essere umani al di fuori dei pochi che lo abitano e dei suini “catozzo” che lo colorano, solo sporadiche case con animali, un ruscello, contadini e bimbi dalla rasatura curiosa, altri giocano con improvvisati ma efficaci trampoli di bambù artigianali, corrono come fulmini e si fermano a ridere con me.
A dire il vero tutte le poche persone che incontro mi fermano, nonostante nessuno parli una lingua comprensibile all’altro, però è divertente, sano, vero.
Dopo tre ore di strada impraticabile mi perdo nella foresta dei bambù e mi ritrovo sul picco della montagna,  una coppia di locali in sapanese mi dice ma dove minc. ..credi di andare???, la strada è finita!
Ah, ok grazie.
Ritorno indietro rischiando la vita un paio di volte specialmente sul “ponte”,  sbuco dall’altra parte del monte nella zona battuta dai turisti e il tutto si fa più “familiare”, abbandono i massi, i crateri ed i strapiombi sulla strada ritrovandomi su di un più soffice brecciolino piastrellato, al posto delle case di paglia e legno mattoni e porte di legno massello con infissi alle finestre, iniziano a chiamarmi per vendermi qualcosa…eh, ben tornato.
Finisco il giro vagando sulla strada principale e un ragazzo mi ferma.
Deve tornare al villaggio vicino Sapa e mi chiede un passaggio (ogni volta che affitto un mezzo carico qualcuno, non male, anche se l’ultima volta in Nepal un simpatico vecchietto mi ha fatto allungare di 15 km, su un percorso di macigni!).
Lo accompagno fino al mercato per fare spese, mi dice di essere uno studente ma contemporaneamente lavora i campi con la sua famiglia, poco remunerativo ma meglio che correre dietro ai turisti.
Bravo.
Arrivati mi dice di lasciarlo li perché per entrare nel villaggio bisogna pagare un biglietto (?), io gli dico che non c’è problema e fin quando posso lo accompagno.
Assurdo, un biglietto per entrare nel villaggio a 1 km da Sapa , come un casello, lo saluto proprio alla “sbarra”…dimenticami!
Il giorno seguente è tutto un diluvio, resisto un’altra notte poi trovo il modo di spostarmi verso Hanoi, inutile star qui per me nonostante sappia della bellezza dei luoghi in giro per la valle, le etnie e bla bla, il tempo e quel che vedo non sono proprio per me.
Sul bus per Hanoi, sedili reclinabili, incontro Damien e Tsubasa, il primo un australiano grosso come due, il secondo un giapponese atipico ma estremamente simpatico.
Arrivati all’alba li convinco a declinare l’invito di tutti i motbaik e taksi che ci stressano alle 6 del mattino, c’è il bus, 4000 dong e arriviamo in centro, easy no?
Arriviamo vicino al lago Hoan Kiem tra centinaia di persone a fare jogging e body building all’aperto.
Loro sono già stati qui (anche se non si direbbe!) e si fermano una sola notte per poi partire verso sud, decidiamo di prendere una stanza insieme e pagare un pò meno.
Ottimo.
La città è facilmente comprensibile, se non fosse per quello schizzato di Damien che vuole percorrerla interamente in 3 ore, alle 7 del mattino è già in piedi e si spara 6 uova per colazione, è di Melbourne madre calabrese fisico da wrestler e testa da Gonzales, speedy, non sta fermo un attimo, saranno le proteine credo.
Tsubasa invece è pigro come un brodo la domenica mattina, fa yoga, scrive musica e non ci pensa a tornare a casa, la vita che faceva non gli piace sono ormai due anni che tenta di evitarla.
È stato anche in meditazione per 6 mesi ad Okinawa, gli ho detto se conosceva Miaghi ma…no, dice che uso le bacchette meglio di lui e non sa nemmeno chi è Hurricane Polimar…l’ho detto che è un giapponese atipico.
Loro abbandonano la città ed io cerco una dimora economica, non facile.
Vago nella caldazza più assoluta e mi imbatto nel backpackers hostel di Hanoi, quello con la mucca con i ray ban.
Non mi piace lo percepisco immediatamente ma i 4 dollari a notte con wi fi e breakfast mi fanno cedere, d’altronde ovunque non chiedono meno 6/7 dollari.
Giro per la città alla scoperta dei pochi luoghi d interesse turistico, il tutto dura mezza giornata, il resto è fusione con i locali tra micro sgabelli, grigliate rasoterra, ristoranti improvvisati ovunque, la nutrita presenza di mezzi a due ruote e la “bia”.
Dalle 4 del pomeriggio in poi ogni microscopico sgabello è trono del micro maschio vietnamita, tra amici, tofu, hot pot, sigarette e sgranocchi vari, il tutto annaffiato con birra pseudo alla spina, cioè, fusto capovolto con installazione di un rubinetto o tubo e blocco di ghiaccio sulla “testa” in modo da garantire un minimo di freschezza.
Passano così ogni giorno, ogni serata fino alle 20/21 massimo, quando tutto sbaracca.
Ma senza allarmismi, la bia fa al massimo 1,5 gradi, per avere l’effetto di una ceres servono 9 boccali, impossibile….
Rientro all’ostello nel tardo pomeriggio e…mi accorgo delle presenze; 80% dei residenti: ragazzo/a tra i 19 e i 25 anni, bermuda, magliettina e infradito Lui, minigonna o vestitino di cotone scandaloso e infradito o scarpe tipo schiava Lei... occhiali Versace o simili, birra,  I-Phone alla mano, Laptop sul tavolino e birra, happy hours dalle 18 alle 22 sul terrazzo, musica occidentale a palla (dalla mattina alla sera), yeah ogni 5 minuti fomentati dal ragazzo/padrone dell’ostello, birra.
Cena ristorante occidentale accanto all'ostello, ritorno in branda sostenuto/a da compagni anch'essi in chiaro stato di deflagrazione mentale causata da eccesso di liquidi alcolici o…..collassata collettiva nel cesso della stanza, il bagno di tutti!
Ben arrivato.
Il giorno dopo cambio immediatamente luogo e spendo due dollari in più a notte in un mini hotel con piccolo dormitorio, non ce la posso fare.
Non so perché ma rimango 6 giorni ad Hanoi, giro tutto il giorno e la sera tento di riorganizzare le poche cose scritte ed aggiornare il blog, non ho fretta e poi la città mi piace specialmente quando mi perdo nella zona sotto il ponte, è come un hutong, è la parte più popolare della città credo, nessun cartello occidentale tanto meno negozi  e nessuno parla inglese, però c’è sempre qualcuno che incuriosito ti ferma e scambia due parole con te, un anziano mi ha  anche invitato nel salone di casa (sulla strada praticamente), per vedere insieme la replica di Roma-Inter giocata la sera prima, ovviamente con una bella fumata con quel curioso e inquietante strumento di legno.... malati, per il calcio sono assolutamente peggio di noi, per il calcio eh…
p.s.: il primo sorso di vino dopo 5 mesi, dalla Spagna, basso costo però...
Andrea, Hanoi

Unafaccialgiorno II (rettifica, avevo involontariamente omesso la Cina...)

venerdì 9 aprile 2010

Da Lhasa al "Texas"

Attraversiamo spazi sterminati, laghi ghiacciati e un ambiente rinvigorito dalla primavera.
Sono sul treno più “alto” del mondo, il miracolo ingegneristico cinese.
Il percorso è senza dubbio suggestivo ma d’inverno deve essere davvero impressionante.
Il treno è dotato di ogni comfort, c’è anche l’acqua bollente gratuita, ovviamente visto che tutti gli occupanti girano con il contenitore del tè, sempre, ovunque, e poi per sopravvivere scorte di noodles istantanei (dall'India sostituiscono i miei pasti di emergenza economici) che qui superano ogni più rosea prospettiva commerciale, ci sono un’infinità di gusti e “accessori”, alcuni inquietanti ma non sono male anzi e poi mi fanno venire in mente Zenigata J.
Passerò in treno 48 ore da Lhasa fino a Chongqing.
Sono solo nello scompartimento e passo le ore a leggere e pensare.
Eh, il pensiero degli ultimi giorni non mi da tregua, non faccio altro che analizzare tutte le emozioni che ho vissuto in così poco tempo, un lampo che mi ha attraversato la mente ed il cuore in maniera profonda.
Tento di distrarmi con un film, della musica, scrivendo ma...non funziona, il laptop è impazzito, deve essere la pressione all’interno del treno, va in tilt ogni volta che tento di accenderlo quindi mi dedico a Terzani, si ancora, è la terza volta ma non mi dispiace, anzi.
Dopo le prime 24 ore il paesaggio cambia il cielo abbandona i brillanti colori divenendo mano a mano sempre più coperto, la terra delle colline e dei monti è di un marrone “opaco”, così come le abitazioni e i piccoli centri abitati che mano a mano si scorgono, tutti hanno lo stesso cupo colore del suolo…marrone umido, il sole non c’è, solo nuvole e foschia.
Le fabbriche e le miniere aumentano costantemente così come le immense ciminiere che sputano fumo grigio mentre migliaia di quintali di cemento devastano il paesaggio, strade, ponti, costruzioni titaniche senza fine.
È strano, sembra proprio di vedere le mie emozioni cambiare tonalità durante il tragitto.
Abbandono le luci, il tepore, gli spazi verdi e colorati, per ritrovarmi in un luogo che involontariamente, senza la dovuta lucidità, non riconosco, accetto.
Non è giusto quel che provo condiziona immotivatamente il tutto forse, ma ne sono consapevole, non voglio stare qui, non ora.
Sul treno conosco un ragazzo un militare cinese, con le poche parole a disposizione passiamo parte della serata insieme, a sue spese, è così entusiasta di riuscire a comunicare con uno straniero che chiama a casa e decide di invitarmi da loro per una notte in una cittadina poco prima della mia destinazione…ma parlando con lui percepisco in qualche modo che non è il caso, lo sento... nonostante alle 5 del mattino me lo trovi nello scompartimento per l’ultimo tentativo.
No scusa, sarà per un'altra volta…
Quando seguire i sensi.
Nella stessa sera prima di andare a dormire incontro anche il primo straniero del treno, è salito a Xi’an e va proprio a Chongqing.
Si chiama Abel Giancarlo, insegnante di arte moderna ad El Paso, Texas, madre italiana e padre messicano.
Che mix.
La crisi economica si è abbattuta anche su di lui.
Ha perso il lavoro come molti americani, ma viste le difficoltà nel cercarne un altro e la voglia di impiegare in maniera costruttiva il suo tempo, ha deciso di partire per 5 settimane a spasso per la Cina…e non si vuole più fermare.
È un ragazzo estremamente intelligente, gentile e disponibile, sincero, e per fortuna visto che data la “gentile” insistenza del governo Cinese ho dovuto cambiare piano e sono arrivato qui senza un indirizzo, mappa o una vaga idea di dove mi trovo, vabbé che ormai…
Lui ha prenotato tramite la sua Guest a Xi’an una dimora in città, il pick up lo aspetta alla stazione…dopo pochi secondi aspetta anche me J.
Il posto in realtà è un appartamento al 24esimo piano di un lussuoso grattacielo (che inizialmente mi stava spingendo ad abbandonare il veicolo in corsa) che ha una stanza adibita a dormitorio con 6 letti, bagno (il migliore in 5 mesi), living room con plasma e dvd, tutto lindo e con internet free per 30 yuan, circa 3 euro.
Eh, sempre fidarsi dei sensi.
Chongqing è una città provincia di 35 milioni di abitanti, l’area urbana è in continua espansione come tutto il paese del resto, divisa dal fiume Jailing e dotata di autonoma copertura atmosferica dello “spazio” a causa della foschia, ma soprattutto dell’inquinamento dovuto allo smodato impiego di carbone per produrre energia elettrica (tipico della Cina).
Giriamo per la città e devo dire che alla fine non è male, moderna, pulita ed in continuo fermento, e poi è infestata di bancarelle di alimenti “trucidostenibili” ovunque, amo il cibo di strada quasi quanto il mio conto corrente J.
Rimaniamo li solo un paio di giorni, sufficienti però per comprendersi l’un l’altro, parliamo delle nostre vite. 
Mi racconta degli U.S.A. con le stesse perplessità con cui io parlo dell’Italia, dell’Europa, dei modi di fare dei giovani, degli eccessi, della violenza, così come della politica, i suoi personaggi, la povertà, le illusioni, gli stereotipi  e tutti gli altri problemi di un occidente che con il suo indubbio “benessere” ha creato però vere e proprie sciagure, perdite di umanità e principi, è innegabile.
In più mi racconta del luogo in cui vive una delle città più tranquille degli States, El Paso, ma a distanza di 30 metri da casa sua c’è il confine con il Messico, Ciudad Juarez, una delle città con il più alto tasso di criminalità al mondo, base di narcotrafficanti e orrori quotidiani senza nome.
Le due città si specchiano ma non si guardano formando però una sola area metropolitana, e terrore per tutti.
In special modo quando hai affetti, amici, amore dall’altra parte del fiume, 30 metri separano due mondi al contrario…me ne parla con lucido dolore.
Ha fatto anche una mostra al riguardo e la Cnn lo ha intervistato (abelsite) per l’impatto che ha avuto ma nulla cambia, nulla muta, come gli abitanti che non demordono e non vogliono abbandonare le loro case, i loro luoghi a causa dei signori della droga, dei folli e degli assassini senza scrupoli…e di chi permette tutto questo!
Sono davvero felice di averlo incontrato ha aggiunto molto in poco tempo, forse passerò da lui quando e se riuscirò a raggiungere l’altra parte del globo, al momento le nostre strade si dividono lui si imbarca su un traghetto fluviale che lo porterà a spasso per la regione a me aspetta l' hard seat per Kunming, quello economico.
Arrivo alla stazione dei treni ed in una calca surreale individuo il mio binario.
La scena è di quelle apocalittiche e realmente inspiegabile per me.
Tutti sono ammassati al cancelletto che si spingono, saltano, corrono con pacchi, borse e scatoloni verso la meta, il vagone.
Io tranquillo con il mio biglietto e numero del sedile cammino lungo il binario, mancano 45 minuti e mi fumo una sigaretta in mezzo a questo marasma.
Ad accoglierci le gentilissime hostess piazzate davanti ogni entrata del treno, salgo e...mi trovo davanti una massa di persone intente a sistemarsi proprio in mezzo al corridoio.
Il vagone è adibito al trasporto di 100 persone, 100 sedili, fila da tre da una parte e due dall’altra.
Io mi faccio spazio tra i corpi con i miei zaini e arrivo al mio sedile occupato da un tipo canottato che si fuma una sigaretta, appena mi vede con il biglietto si alza e me lo cede, anche se il mio sarebbe quello accanto al finestrino ma una simpatica signora mi fa capire che è uguale…ok.
Il vano porta bagagli e inverosimilmente carico di qualunque cosa, tranne animali, noi dell’hard seat ci ritroviamo borse e trolley in mano…in qualche modo li sistemiamo, sotto i sedili!
Fa un caldo incredibile ci sono 35° circa all’esterno con una umidità non percentualizzabile, all’interno 4 “frammenti” di vetro apribili.
Tempo 7 minuti e tutti si spogliano, non si respira ed il sudore dei corpi produce una qualche sostanza che inalata fa perdere i sensi per pochi istanti, oltre l’olfatto.
L’ammasso umano nel corridoio non accenna a diminuire, pensavo fossero parenti o amici per gli ultimi saluti ma…no, vengono con noi!
In un attimo sbucano due signore con sacchi neri pieni di sgabbelletti di plastica, quelli per bambini con l'immagine di Cenerentola (che dopo un’ora erano tutti distrutti ammucchiati in un lato) e cominciano a venderli insieme a ceste di materiale organico che tirano fuori da sotto i sedili, la calca si tramuta ben presto in un accampamento in ogni angolo possibile anche in mezzo a noi, sui lavelli dei bagni i bambini, interra davanti alle porte, umani, molti, piccoli e compressi, intravedo solo i denti…
Insomma siamo 170 compagnoni in ogni vagone e ognuno di loro a “sacchi da vendere”.
Nella compressione chiedo a gesti la durata del viaggio, 18 ore  mi dicono, sto per uscire dal treno ma i pezzi di finestrino sono davvero piccoli ed io incastrato…si parte!
Appena partiti iniziano tutti la seconda fase di viaggio, la prima è invadere lo spazio dei paganti, la seconda lo sgranocchio “locustico”.
Cominciano a viaggiare ovunque buste sottovuoto ripiene di zampe di gallina, zampe di maiale, zampe di anatra, zampe…orecchie, nasi, piedi, cosce di pollo e pezzi di maiale e pesce dalle forme più fantasiose, gli immancabili noodles istantanei, bruscolini neri dolci, noccioline, caramelle e uova sode sottovuoto…rumori, sudore e aromi che si confondono, provocano uno stato di confusione in me, sono già a Kunming…no, iniziano a passare i stewart con le vivande, le scorte alimentari sottovuoto, le collanine, cianfrusaglie, bibite, frutta e il balsamo di tigre, con cui uno stewart abbastanza simpatico credo, viste le espressioni dei presenti, improvvisa in ogni carrozza una televendita di 20 minuti, saltellando, sbracciando (sudato come uno stewart animato nel vagone) e urlando verso tutti, un po’ come “il baffo” da noi tempo fa.
Tutti ridono, io tento di ingerire cianuro ma una signora mi offre zampe di gallina e alicette dalla dubbia natura…declino.
Dopo essermi rinchiuso nel vagone ristorante, vuoto ovviamente, scardino la signora che beata aveva dormito tutto il giorno al mio posto e tento di riposare spiaccicato al finestrino, in terra, tra i corpi senza sgabbelletti, tutto il materiale da rifiuto…tutto!
Dormo pochi attimi e fortunatamente durante il tragitto molti scendono i stewart spazzano tra i corpi senza nome e io mi ritrovo a Kunming, senza identità alcuna.
Di treni in 5 mesi ne ho presi, in ogni paese difficile, ma quando si viaggia c’è sempre da imparare…addio hard seat!
 Andrea Kunming

sabato 3 aprile 2010

Tibet ad occhi aperti...i miei. 4° parte

…mi pesa anche per un altro motivo.
A Kathmandu avevo incontrato un signore anziano, uno dei tanti tibetani esiliati.
Camminavo per una viuzza e mi chiama dalla sedia davanti al suo negozietto facendomi cenno di andare da lui; non so perché mi sono immediatamente fermato, se avessi dovuto farlo con tutti coloro che ti chiamano starei ancora li… comincia a fare domande a raffica con il suo modesto inglese e con due occhi che non potevo ignorare.
Mi domanda di dove sono, Italia, ah bravi gli italiani, e come mai sei qui, trekking? No mio caro, anche perché gli abiti che indosso non sono proprio da "scarpinatore" di vette…gli spiego in  breve il mio percorso illuminato dalla “follia” dicendogli che aspetto il visto per il Tibet.
Gli occhi gli si illuminano, tutto entusiasta chiama la moglie si fa dare un biglietto da visita riguardante un ristorante in Lhasa e mi dice questo è di mio nipote,  scrive sopra il suo nome, un numero di telefono e altro, poi me lo da e mi dice quando vai a Lhasa vai da lui è buona la cucina ma anche se non ci mangi vacci e chiamami al telefono con lui ok? Da tempo non lo sento…
Io prendo il biglietto e gli prometto di fare ciò che mi chiede.
Mai avrei pensato di non poter rispettare quella promessa questo mi è davvero dispiaciuto, ho tentato di spiegare il tutto alla guida ma non è stato proprio possibile...

Il giorno dopo un pulmino ci aspetta davanti l’albergo, andiamo al Potala.
Arriviamo e ci troviamo nella piazza proprio sotto l’edificio, di fronte , mi ricorda quella di Shigatze solo più imponente e senza schermo, vasta e cementifica, con la solita asta…ma lui, il Potala, è li silente e maestoso come se nulla fosse.
Ci avviciniamo verso l’entrata tra gruppi di poliziotti che fermano la guida parlottando con lui  e comunicando con radioline, in giro coppie di militari.
Andiamo verso l’entrata, lato destro, incrociamo persone, molte, che fanno ruotare tra le mani le ruote della preghiera, altri recitano i mantra, alcuni si fermano si distendono a terra fino a toccare il capo al suolo con le braccia distese davanti al corpo, in preghiera, buddista; giriamo l’angolo e…la strada è devastata, ruspe e caos dinanzi l’entrata, inverosimile.
all'entrata la pietra dell’UNESCU, World heritage committee…ma va…  
Per entrare i soliti controlli personali, metal detector e quant'altro.
Entriamo.
Saliamo lungo le ripide scale di pietra, ci fermiamo spesso con i polmoni ancora nel bus, l’ossigeno manca e si sente.
Arriviamo all’altra entrata tra i fedeli che salgono, anziani solitari fan fatica, alcuni li portano sulle spalle, tutti vogliono, devono, per fede andare al Potala.
Noi per visita.
Nella piazzetta antistante l’ultimo vero ingresso, tutti in preghiera distesi prima di entrare. Devozione.
Il Potala, se non erro, a circa 999 stanze, noi ne vedremo un trentina, come in un museo, come in tour, attraverso vetri, con luci al neon a snaturare anni di collocazioni, oggetti, sacralità allo stato “inutile”, le tombe di tutti Lama della storia, tra mandala, antichi rotoli di seta, opere compiute dai giovani Lama che farebbero impallidire artisti, quintali d’oro, donazioni inimmaginabili di oggetti sacri, in un luogo non abitato da monaci ma dove ora sono “inseriti” con vesti blu e assoluto divieto di sguardo, "ingaggiati" per restaurare i migliaia e migliaia di rotoli di seta con i manoscritti in sanscrito.
Vendono snack, bibite, tra telecamere, tante, militari, operai e tendoni, tra uomini in borghese con radio e distintivi, accessi chiusi, porte sigillate; qui il DALAI LAMA non ci è mai stato, ci è cresciuto per un po’, la storia ne ha parlato e in qualche modo scritto, per il tour ed il Potala di oggi non è mai stato qui…
Complicato essere felici di percorrere tutta questa spiritualità, ce né tanta, ma è irreale.
Per molti basterebbe una foto, peccato che non si può e possono giustiziarti solo per aver tentato.
Ma la gente, quella vera, passa in mezzo a noi con sorrisi, abiti tradizionali (che poi sono quelli reali), ed i bimbi dietro le spalle sorretti dalla fascia, pregando e vagando per quei pochi pertugi permessi, con la massima serietà, spiritualità, devozione…come se 50 anni fa non fosse accaduto nulla…vero.
Riscendiamo dopo la visita e andiamo in banca per cambiare i soldi e prelevare, ieri non ci è stato possibile nemmeno questo.
Mentre torniamo in albergo il capo dell’agenzia chiama la guida per comunicare cosa possiamo fare oggi, ormai il “pacchetto” che comprendeva oltre il Potala altri monasteri e luoghi sacri è saltato, il governo ha chiuso tutto a tutti, e sul bus cominciano le giuste lamentele del gruppo.
Dopo la nostra tediante insistenza il boss ci da il permesso di fare un giro a piedi per Lhasa, ma tutti insieme, in gruppo e con le guide, non possiamo girare per la città individualmente.
Nervosismo.
Usciamo dopo pranzo ed andiamo come una scolaresca verso il quartiere sacro e commerciale della città, il Bakhore, che si sviluppa intorno al tempio Jokhang, ultimo pezzo di Tibet in città a quanto pare.
Immediatamente fuori dall’hotel le guide ci avvertono di non fare assolutamente foto, specialmente alle forze dell’ordine e/o anche solo nella loro direzione, se vi vedono vi sequestrano le sd card o la fotocamera, senza possibilità di protesta alcuna!
Che sarà mai non li fotografiamo e via.
Sembra facile.
La zona è proprio dietro di noi, pochi minuti tra le popolari vie e ci troviamo dinanzi alla piazza, piena di persone, negozietti e bancarelle, molti pregano in strada.
Immediatamente ci rendiamo conto che non sarà semplice utilizzare le fotocamere, ci sono più divise in giro che persone.
Gazebo ad ogni angolo con 4/5 poliziotti, militari in pattuglia, tanti, troppi.
Sui tetti altri militari con videocamere e cannocchiali, ovunque, azzardare uno scatto è rischioso.
(però ci sono riuscito, pochissimi scatti e qualche minuto di video)
Plotoni circolano continuamente ad ogni via tra la normalità delle persone, ogni tanto senza motivo si fermano a litigare con qualche negoziante, che stron…
I fedeli fuori dal tempio chiuso ma sdraiati in preghiera proprio davanti all’ingresso, nelle vie, nelle piazze, turisti cinesi fanno foto sorridendo, ovunque, loro possono.
È tutto surreale non capisco cosa vivo.
Passeggio accanto alla guida cercando di capire, sapere qualcosa in più approfittando dell’assenza degli altri intenti a far spese alle bancarelle.
Con occhi tristi, veramente tristi, mi dice che nel mese di marzo è così, gli altri 11 mesi è un po’ meglio, sono di meno…e sorride.
Io provo rabbia, non credevo potesse capitarmi proprio in Tibet ma…camminiamo e chiacchieriamo, è davvero una gran persona, gentile e sincera, mi spiace vederlo così avvilito anche se tenta sempre di ridere e scherzare con me che lo stresso tutto il giorno per via di un "problemino" venutosi a creare nel mio strampalato itinerario...non potevi prende l’aereo come tutti gli altri? Te lo paghiamo noi per qualunque destinazione.
No grazie, non è ancora il momento di volare J.
Il 13, termine del tour, non ci sono treni per Chengdu (fortuna che lo avevo prenotato tramite agenzia dal Nepal pagando il triplo considerato che il  governo non mi dava il visto senza avere una data certa di “uscita”), si sono sbagliati, ci sarebbe il giorno dopo il 14 ma come già detto il governo non vuole stranieri quel giorno quindi tenta di risolvere la cosa stando sempre al telefono con la compagnia dei treni, ma dandomi ogni volta alternative folli, io gli ho detto che per me non c’è problema posso stare a casa sua per tutto il periodo del visto, ma lui non vuole italiani in casa J, quindi facciamo un po’ i cretini in strada, correndo e scherzando, con il suo sorriso mentre mi urla , i suoi dreadlock (finti J) e le mie facce idiote, nonostante tutto, cercando di normalizzare quella tensione che ci circonda, lo “circonda”, da anni…e non solo a lui.

 Il 14 marzo 2008 ci fu un massacro in città (non solo a Lhasa), naturalmente si parlò di qualche “disordine” ma non è così, centinaia di persone tra monaci e civili furono arrestati, maltrattati e trucidati!!!!
Si temono nuovi “disagi”.
Gli unici disagi siete voi!!!
Camminiamo tra la gente che passeggia e ci guarda, come sempre in questi giorni tutti ci  sorridono curiosi, ci salutano, come se nulla fosse, come se tutti gli altri, “quelli”, non esistessero.
Nessuno si può fermare a parlare con noi però (alcuni tentano) perché ogni tanto ci circondano, appena ci fermiamo un attimo ci troviamo militari intorno, parecchi, poliziotti in borghese e non che bloccano la guida e chiedono spiegazioni ogni 5 minuti, lui sorride sempre dicendo che abbiamo il permesso ma loro non la vedono così e giù con le radio a contattare chissà chi, fino a quando stop, ci riescono, dobbiamo rientrare.
Tornate indietro, l’ora d’aria è terminata.
Un’ora e mezza, nemmeno, la visita nella capitale del Tibet, nel cuore sacro del paese.
Siamo tutti amareggiati, delusi, arrabbiati.
Loro si scusano con noi e ci anticipano che domani sarà così, non possiamo camminare per la città, stasera passa il capo dell’agenzia ci vuole parlare.
Rientrati, casualmente, ci ritroviamo tutti sul tetto, siamo 4, 5, dopo un’ora siamo tutti li a discutere analizzare e trovare un modo per non rimanere chiusi li.
Arriviamo ad una decisione comune dopo aver valutato le varie ipotesi visto che non vogliamo essere rinchiusi, e con quello che abbiamo pagato (ovviamente tutti diverso per lo stesso tour, alcuni più del doppio di me, sempre stare attenti a pacchetti e agenzie), decidiamo di imporre le nostre volontà.
Vogliamo visitare il Namtso Lake, il più "alto" del mondo, nonché uno dei tre sacri del paese, a 200km da Lhasa, in mezzo al nulla.
La sera come da programma arriva il boss che si scusa con noi per i disagi sottolineando come da parte loro non era il caso di organizzare gruppi in questo periodo, ci offre la cena tentando di proporci una visita alternativa nei pressi della città, ma noi gli comunichiamo la nostra richiesta, tutti insieme compatti, lui non accenna nemmeno un’esitazione, ok, si va al Namtso Lake.
Questa è sembrata per molti una vittoria, facile, per me però non lo è stata, sono ancora emotivamente scosso dalla giornata e dalle imposizioni, di quel che ho visto e di come possano vivere le persone nel loro paese, nel 2010.
L’impedimento di un semplice desiderio, non perché pagato e per giunta salato debba essere dovuto, purtroppo non è sempre così, ma per il senso di impotenza che mi ha pervaso per le poche ore trascorse nel paese sin ora.
Solo pochi giorni per tentare di comprendere, nel modo peggiore purtroppo.
Sono affranto, non deluso, ma sconcertato dalla normalità delle ingiustizie, benché non sia la peggiore al mondo certo, ma…è strano, per un occidentale, per una persona dalla vita “normale”, per Andrea…è tutto inconcepibile, nonostante la radiosa bellezza del luogo, del paese, delle persone, attraverso i miei occhi tutto è cupo, triste.
Il giorno dopo partiamo per il lago, sul bus ognuno è assorto nei suoi pensieri.
Per strada controlli, sempre e comunque, stop, passaporti, visti..chi siete, dove andate, che fate…un fiornino!
Alcuni ci fanno foto; anche fermarci in un paesino per pranzo diventa stressante, i poliziotti prendono nota dell’orario per evitare che ci fermiamo troppo tra i locali, la guida imbarazzata ci fa scendere e pranzare in pochi minuti, noi non sappiamo davvero con chi incazz…
Ma Thomas, il giramondo con la moglie, insieme a Baldour iceman, l’islandese, prendono in mano la situazione decidendo di acquistare una bottiglia di liquore assassino cinese, che in pochi ci beviamo con la redbull, tempo un ora e la situazione all’interno del bus si fa più distesa, piccolo placebo per quietare tutta quella marea di pensieri e musi lunghi…certo non si è trattato di una sbornia di gruppo ma poco dopo tutto si è rilassato e animato.
Arriviamo tra distese di prati infestati di yack, bellissimi, finalmente, il mio animale ormai, anche se corrergli dietro è complicato, abbiamo provato ma sono troppo allenati, noi no!
Il lago è a circa 4.700 metri interamente ghiacciato, enorme, un’immensa lastra di ghiaccio di cui non vediamo  la fine, nei pressi una piccola comunità di nomadi che si spostano da queste parti durante il periodo caldo in attesa dei turisti, come guest house dei container.
C’è anche un piccolo monastero costruito in una caverna, piccolo, splendido, i monaci tutti giovani e molto più rilassati e cordiali.
Qui non ci arriva il governo, è un posto davvero sperduto.
Bellissimo.
Noi tutti ci sparpagliamo per il lago a fare foto rischiando di schiantarci sul ghiaccio, tutti giochiamo insieme a i bimbi che ci seguono curiosi, alcuni nonostante la temperatura, hanno quei curiosi pantaloni ecologico-tibetani, cioè aperti dietro, natiche al vento, perché utilizzare inquinanti pannolini? J troppo divertenti.
Facciamo foto tra l’ilarità di tutti, anche le guide si divertono con noi.
Siamo davvero soli in mezzo al nulla, ci rinfreschiamo la mente ed il cuore, siamo distesi.
Tornando verso Lhasa sul bus la compagnia si accende, lasciando cadere quelle individualità che ci hanno frenato per tutto il tour, finalmente si cazzeggia tutti insieme con l’aiuto di un pennarello scattano i faces painting per tutti, anche i più musoni si distendono, finalmente ci divertiamo tutti insieme nel nostro ultimo giorno tibetano.
Giornata splendida, nonostante tutto siamo riusciti a scacciare via i brutti pensieri, anche se per poche ore,  ma ne è valsa la pena.
Terminiamo la serata cenando tutti insieme, domani mattina presto ognuno partirà per le rispettive destinazioni con tutto il carico di emozioni in questa unica, sola ed intensa settimana ad occhi aperti…
…come la mente, un altro varco si è aperto.

Andrea, Lhasa