"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole."

Charles Baudelaire

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lunedì 25 gennaio 2010

Al di là delle mie nuvole



E’  impensabile “mostrare” con i propri occhi questo paese perché ognuno di noi a modo suo ha nella mente immagini mai vissute, però…qualunque pensiero cambia forma, come spesso accade in India.

Sveglia alle 5;45, questo non lo sapevo…
Ci riunisce alla casa madre dov’è la tomba di Teresa tutte le mattine per la messa alle 6 o per la colazione alle 7, io non arrivo alle 6…
Da li chiacchiericcio volontaristico, preghiera di rito e si parte, ognuno per la sua destinazione.
Oltre me e Pablo si sono uniti altri due ragazzi argentini in viaggio per un mese e mezzo con un gruppo di missionari di Buenos Aires, giovanissimi, molto devoti e svegli.
L’unico volontario a Nabo è il denuclearizzato Peppe (Josè), persona difficilmente decifrabile oltre che raggiungibile.
Quarantaquattro anni, insegnante di astrologia per le scuole elementari, fotografo, esperto di massaggi orientali, giardiniere, clown e umano all'ennesima potenza.
Dimorato nella ciudad de Alicante, Spagna, lui dice a nord ma per me è sud, spinto dal desiderio di conoscere la creazione di Teresa e dalla crisi che ha colpito i suo paese come il nostro, ha deciso di fare il suo primo viaggio fuori dalla sua tierra proprio qui invece di barcamenarsi per trovare qualche soldo ha deciso di spendere i suoi pochi a Calcutta.
Non è semplice immaginare un italiano e uno spagnolo veraci comprendersi in una situazione come questa, tra inglese, indiano, spagnolo e…l’inverosimile prende il sopravvento.
Parlo con lui in spagnolo, con Pablo in italiano, con gli argentini in inglese, con i fratelli (che si chiamano brothers, lui li chiama hermanos, io ernanos J) in spagnolo quando tento di farlo in inglese, con i ragazzi del centro in tutte le lingue a seconda di cosa accade il giorno…ma il tutto assume una esilarante dolcezza, quasi come il destino.
Qui el cico ha incontrato una cica italiana di cui mi parla con occhi d fanciullo, credo sia proprio la stessa ragazza del pdf online trovato da me in quel di Bodhgaya, lo stesso file che mi ha portato al Modern lodge, Pablo, Kim, Peppe, Bopal (“ragazzo” di strada che vive nella “sua” meriterebbe un post, dolce innocenza in un sorriso…), la nutrita compagnia di spagnoli, la casa di Teresa, ect… cos'altro dire?
La vita è realmente il libro bianco che ognuno di noi vorrebbe scrivere, ma a volte, non abbiamo occhi per vedere…
Nel frattempo gli impartisco lezioni di italiano spicciolo, sai com’è…J




Purtroppo il suo soggiorno volge al termine, lunedì 25 gennaio ritorna a casa ma dopo aver trascorso 3 mesi tra Calcutta e Nabo Jibon senza parlare una parola di inglese che sia una, parla solo ed esclusivamente spagnolo, con tutti, taxinari, negozianti, ristoranti, giapponesi, mercanti, brothers, sisters, ragazzi di Nabo, che appena lo vedono si illuminano, ci parlano, si intendono che non si capisce, rimango allibito.
In zona lo conoscono tutti, lo salutano in strada, gli parlano in urdu, indù, bengali, inglese, marziese è surreale, presenza straordinariamente positiva nello spazio alieno, un klingon in vacanza a Pinerolo; rimango di sasso quando mi presenta la gente in strada parlandoci apparentemente senza intendersi, ma…no è una candid camera secondo me, uomo inimmaginabile davvero.
Lui è il nostro cicerone al di là della porta, come già detto è gestita dai frati di madre Teresa, 7 fissi e 8 novizi.
Colma di umanità all’inverosimile nonostante le difficoltà, i fratelli gestiscono questa casa come una famiglia, tanto che i pochi in grado di dare una mano aiutano tutti e tutto, compresi noi, nella complessa gestione quotidiana che immediata appare chiara e facilmente metabolizzata, è “semplicemente” amore.
Oltre all’assoluta preparazione dei fratelli è commovente il modo in cui l’anima, gli occhi, il sorriso ed il sacrificio vadano a sostegno del mancato…chi ha modo di utilizzare la mente sostiene chi ne ha a meno, viceversa chi non ne ha sostiene il corpo dell’altro…è difficile ma splendidamente immenso e soprattutto reale, tangibile, sbalorditivo.
Il primo giorno sono rimasto esterrefatto, mi aspettavo una situazione molto complicata, qual è, ma non così viva in ogni battito, anche coloro a cui la vita è sfuggita, per come la intendiamo noi…

Scrivere e descrivere è sacrificio, rischio senza l’ausilio degli occhi di chi legge di non essere compreso, non voglio sbagliare.

Posso dire che i fratelli sono ragazzi meravigliosi, così come l’ambiente che respira i sacrifici e gli sforzi continui di tutti coloro che attraversano il cancello lasciando alle proprie spalle ciò che si è per alcune ore, giorni, anni…il tempo, che tutti all’interno passano uguale, ciclico, ma anche, per chi può, con la consapevolezza di essere in un piccolo “paradiso” fatto di umanità, assistenza, giochi, scherzi, musica, amore e volontari, non indispensabili ma pastelli sulla grigia tela, a cui ogni tanto si “annuvolano” gli occhi  e si interrompe il respiro.

Troppe volte la ragione non capisce il progetto, l’alto progetto, e ci si ritrova nuovamente in conflitto interiore sempre maggiore, per tante troppe cose, per poi rimanere sorpresi di quante sono le sfumature nel “colorato sistema vita”.
Probabilmente aiuta più noi, anche se i loro occhi, da quelli vigili a quelli chissà dove, parlano una lingua mai sentita, e parlano tanto, tutti...
Il rischio vero è lasciarci il cuore, mettendo da parte tutti quei pensieri razionali che lo soffocano.
Sono entrato attraverso per capire, toccare e non per giudicare.
A Calcutta chiunque può andare, non c’è fede religiosa,  politica, preparazione assistenziale, medica o specifica nozione di alcun tipo, chi vuole aiutare può farlo in tutti i più umani e semplici modi, ma solo chi si sente realmente di farlo, con anima, cuore e umiltà.
Come in tutte quelle piccole cose quotidiane che lasciamo scorrere incoscienti in questa incomprensibile frenetica esistenza.
Ovviamente nei miei occhi e nella mia mente qualcosa è passato, ma non voglio dire.

Alle volte, forse, la cosa migliore è non ”parlare”…ma respirare profondamente.

Andrea, Nabo Jibon, Calcutta.


giovedì 21 gennaio 2010

Affidarsi alla ragione o attraversare il tessuto?


Il mio soggiorno “Calcuttiano” procede senza sosta, cioè sono sostato a dire il vero, la prima fermata significativa del viaggio ma dopo 2 mesi e mezzo ho bisogno di fermarmi un attimo anche per pianificare il difficile proseguo del viaggio; ma invece di dirigermi verso il mare o andar per luoghi di straordinario interesse decido di star qui, a Calcutta!
Dopo qualche giorno perso in questa immensa e bellissima città mi imbatto in un ragazzo che cercava un’amica in un determinato posto; il posto è il caffè del primo giorno, l’amica si è rivelata poi una residente della mia g.h., il caso…
Il personaggio in questione si chiama Pablo David detto tata, 26enne argentino di origini italiane con un trascorso adolescenziale in quel di Oderzo (se non sbaglio), Treviso…passare l’adolescenza a Oderzo venendo da Rosario credo non sia assolutamente semplice, anzi, un po’ come nascere a Chicago e fare le superiori a Tagliacozzo, vabbè la pasta fatta in casa col sugo di cinghiale ma…
Fortunatamente dopo la parentesi italiana tre anni fa con la famiglia si è trasferito a Londra, parla perfettamente spagnolo, italiano e inglese; presosi inizialmente 45 giorni di ferie da 4 mesi è in giro per il sud est asiatico e ha deciso di passare un po’ di tempo in India prima di tornare a Londra, se lo riprendono a lavoro…è qui per conoscere la cultura indiana, fare volontariato e per un corso di meditazione molto impegnativo, 10 giorni di totale isolamento dal mondo con rigida pianificazione delle giornate, gratuito e aperto a tutti, anche se secondo me lo fa per non pagare i 10 giorni di dormitorio al Maria (quanto ti incazzerai per questo? :-P).
La sera dopo siamo usciti per cena e davanti ad un chiosco sfigoturistico di Sutter Street abbiamo incontrato due personaggi davvero incredibili nel mondo dei viaggiatori, qualche mese fa mi ero imbattuto casualmente nel loro sito ma essendo in spagnolo avevo capito ben poco, sono Lorena y Julian, più un cane sorcio trovato in quel di Spagna, tipo benito ma tascabile, i due simpaticoni sono in viaggio in moto, con l’africa twin, da 8 anni!!!!!!!!
Dire che sono icone del trip è poco, sono partiti dall’Argentina e si sono fatti tuuuutto il sud America fino al Messico, l’Africa e l’Europa, hanno fatto il mio stesso tragitto dalla Grecia, ma saltando il Pakistan, troppo pericoloso farlo con mezzi propri, ed ora sono diretti in Thailandia, ma anche stavolta devono saltare per via del Myanmar, non gli danno il visto via terra…che nervoso, è come togliere il biberon a metà poppata o i pallottini alla chitarra!!!

...a sinistra Lorena, il capellone è Julian, a destra Pablo...

Siamo rimasti a parlare per ore, sono incredibili e dovreste vedere come sono radiosi quando con immenso entusiasmo e naturalezza raccontano del loro viaggio e capisci che…tutto si può.
Dico solo che sono partiti da casa con 1.800 dollari 8 anni fa!!!!
La stessa sera abbiamo conosciuto Francesco (detto Ugo), italiano di Pordenone, altro personaggio; semi ingegnere ha perso il lavoro a Trieste e da 11 mesi viaggia tra Australia e Asia, è qui per una gara di scacchi…folle, ma miniera di info sul Nepal.
Con Pablo ci siamo capiti quasi subito, ragazzo intelligente con grandi valori e gran cuore, il pomeriggio siamo andati in visita ad una delle case di Madre Teresa, precisamente Shishu Bhavan, vicino alla casa Madre, dove si trovano bambini orfani o abbandonati con gravi handicap mentali e fisici, nonché centro di iscrizione per volontari il lunedì, mercoledì e venerdì; abbiamo trascorso un paio d’ore lì tra i bimbi e le donne che li assistono, tra loro anche alcune volontarie, questo ha stimolato in me maggiore voglia di capire, la casa è bella sembra un asilo occidentale, estremamente efficiente e curato.
Dopo una piccola probabile sòla da certi tipastri di immensa imbecillità incontrati lo stesso pomeriggio, di cui ci siamo agevolmente liberati, io e tata ci siamo visti tutti i giorni seguenti.
Il giorno dopo, lunedì, l’ho accompagnato ad iscriversi come volontario, c’erano non so quante persone un centinaio forse (tra cui una donna indiana che è stata respinta per via della presenza straniera, lo dico solo per dovere…) da tutte le parti del mondo, maggiormente ragazzi e adulti di mezz’età, io osservavo il tutto mentre lui riempiva il modulino.
Ad accoglierci ci sono i volontari che separano le persone a gruppi, a grandi linee per lingua inglese, giapponese, coreana, spagnola, etrusca e…gli italiani vanno dove capiscono.
Mentre la ragazza spiegava loro le regole io carico di domande mi sono diretto verso le sisters all’interno della casa, tentando di chiacchierare con loro ma…no ci sono i volontari, ma io veramente…rivolgiti a loro…grazie.
Mesto torno alla panca latina mentre la ragazza spiegava i luoghi dove è possibile andare; tra tutti ce né uno un po’ magro di presenze, solo un volontario, è Nabo Jibon, luogo alla periferia di Calcutta, un’oretta di bus vicono la zona di Haora, gestito dai Frati di Madre Teresa in cui possono andare quasi esclusivamente uomini, tranne la domenica che è aperto a tutti  volonatri.
Il centro è ridente residenza di uomini e ragazzi, circa 60 in tutto, con gravissimi problemi mentali e fisici.
Un solo volontario, ci saranno 30 uomini solo oggi e li un solo volontario???
Mentre Pablo si avvicina a parlare con una sua amica che gli consiglia proprio Nabo per via della ovvia necessità istintivamente prendo un foglietto e lo riempio, lo do alla volontaria e nonostante l’irrequieto conflitto interiore mi iscrivo, devo andare a Nabo Jibon.


Dal di fuori la luce prende troppe direzioni, come attraverso il cristallo basta un nulla per deviarla, voglio toccare con mano quello che asfissia i miei pensieri, la mia ignoranza, ho voglia di capire anche se nella mia testa tutto ha una sua collocazione, di certo troppo cinica e razionale quindi...devo toccare!

Andrea, Nabo Jibon, Calcutta

lunedì 18 gennaio 2010

La tela di Teresa...



Abbandonare Bodhgaya non è stato facile al di là della spiritualità.
Sono arrivato con largo anticipo dal passaggio dei primi treni alla stazione di Gaya con il fucking riscò, io e altre 10 persone!!!si 10, ho il video…e immediatamente ho riscontrato qualche problemino, il primo dei treni partito alle 9 da Delhi aveva 12 ore di ritardo e a cascata si può immaginare che catastrofe ferroviaria si è creata, alla fine mi sono inserito nell’office enquiry della stazione con il capo e i due impiegati che a raffica aggiornavano migliaia di persone che impazzite chiedevano quando il loro treno arrivasse, ore, ore e ore di panico, fortuna mi hanno fatto stare lì c’era una bolgia terrificante, indiani, turisti, monaci, un delirio…dico solo che sono riuscito a salire sul treno alle 0,30 con l’open ticket e una marea di persone che aggredivano le entrate, alla fine il t.t.e. mi ha trovato un letto alle 03.00, faceva freddo seduto sullo zaino tra le porte del vagone e i bagni…
Arrivo a Calcutta la mattina alle 10 e con estrema semplicità trovo zona e sistemazione, ma non grazie al mio sesto senso, anzi, la città è enorme una metropoli vera, la sera prima di lasciare Bodhgaya mi sono imbattuto nel sito di una ragazza italiana che da 6 anni viene qui alcuni mesi l’anno per fare volontariato nelle case di Madre Teresa.
Ha creato un pdf, una specie di guida dettagliata e ben fatta, altro che lonely, e in questo file racconta la sua esperienza, oltre a quella di altri, in cui da informazioni su Calcutta (alcune un pò esagerate a mio avviso ma...) e per chi abbia interesse nell'ambito del volontariato, molto utile.
Quindi una volta trovato il bus nella direzione prescelta in pochi minuti ero già in giro a contrattare per le g.h, e alla fine ho scelto la Modern g.h., che di modern ha solo il lucchetto che chiude il portone d’ingresso, ma va benissimo, un lusso, nonostante non ci siano acqua calda e prese elettriche (se le persone si lavano in strada sorridenti e tranquille lo posso fare anche io nella mia stamberga!).
All’ingresso becco il primo personaggio, Kim, giornalista tedesco sulla quarantina a cui dico immediatamente qual è la mia filosofia in merito, cioè quella di Cetto Laqualunque, lui sorridente mi dice che ho ragione, bravo, mi spiga che sta qui tre mesi l’anno in totale serenità (tradotto…Cetto ha sempre ragione!) mi dice siamo in india take it easy… tipo: stai serèno... comunque è molto dotto, simpatico e con una pronuncia inglese da lord, in piu' è una miniera di informazioni.
Poi mi parla di Terzani, che in Germania oltre che ad essere considerato un esempio di giornalismo fin da quando lavorava per Der Spiegel è anche divenuto nel tempo un sorta di guru, un esempio di professionalità e umanità, cacchio mo che ho cominciato a leggerlo, il caso eh? maledetta India...
(in Italia siamo draghi per far fuggire cervelli, i nostri politici studiano nelle più importanti università di minchiopoli per rendere possibile tutto questo, che odio!!!).
La mattina dopo vago per esplorare la zona ed entro in un caffè per colazione, è giovedì, niente gnocchi ma…mi sparo un vegetable sandwich di tre piani condito con olio d’oliva (dopo 75 giorni non ricordavo nemmeno il sapore dell’olio), un orange juice e un caffè espresso (tot. 1 euro), il primo del viaggio l’ho preso sotto consiglio del tedesco e infatti…


Mi siedo al tavolo con un tipo con gli occhiali che smanetta sul portatile e contemporaneamente sul pc del locale, credevo fosse il padrone invece è Giuseppe italiano di Milano, 36 anni ex responsabile del settore hardware e software di una multinazionale, che da due anni ha lasciato l’Italia perché stufo di quella vita e del continuo lamentarsi del popolo italiano per dedicarsi al volontariato proprio nella casa di Madre Teresa, deve rinnovare il visto e io gli racconto la mia avventura burocratica dandogli le info necessarie, da li cominciamo a parlare e man mano arrivano una serie di ragazzi e ragazze che lo salutano italiani, inglesi, francesi, spagnoli, argentini, brasiliani…è giovedì e i volontari hanno il giorno libero.
I due ragazzi italiani freschi del mestiere si fermano a chiedere info a Giuseppe su come raggiungere il lebbrosario (si, esistono ancora…), io non riesco a trattenermi e devo rompere un po’ le scatole, chiedo da quanto sono qui, cosa hanno visto dell’India e come mai sono arrivati proprio a Calcutta…ovviamente sono atterrati da pochi giorni qui per volontariato e non hanno mai girato il paese.
Allora mi permetto di fracassare un po’ di più e chiedo cosa pensano di Amistar, Delhi, Varanasi, e i pochi posti da me visitati in queste prime 4 settimane indiane, naturalmente non sanno nulla e chiedono a Giuseppe se ci sono altrove posti con situazioni “difficili”.
Giuseppe mi guarda e dice che altrove è così, anche se lui stesso dice di essere stato a Delhi una sola notte, in due anni…
E poi come mai da tutto il mondo vengono così tanti volontari proprio qui? troppi, alcune volte in esubero, risponde alla mia osservazione dicendo che da quando Madre Teresa è morta e Lapierre ha scritto la Città della gioia, tutti si catapultano qui ma non tutto l’anno purtroppo, da marzo a luglio, periodo infernale a Calcutta (giro in maglietta a gennaio, lo smog è eccessivo ma non oso immaginare col caldo umido cosa può diventare…) i ragazzi diminuiscono di molto e poi non tutti reggono, arrivano qui per uno, due, tre mesi ma dopo il primo giorno di "lavoro" decidono di lasciare e vacanzare per il paese.
A questo punto smetto di domandare e finisco la mia dose di rotture, per il momento mi basta; osservo tutti i ragazzi che ci salutano da tutte le parti del mondo e che sono qui per l’eco di Teresa e Lapierre, tutti in soccorso delle righe che leggono.
La situazione qui è molto difficile, indubbiamente, e chiunque faccia volontariato ha la mia stima più profonda però…da Roma a Napoli, da New York a Santiago del Cile, da Rio a Buenos Aires, da Bangkok a Darwin, per non parlare delle situazioni veramente drammatiche dei paesi dell'est Europa, Bangladesh, Myanmar, Mongolia e Africa...i poveri e i moribondi sono ovunque, basta fare un giro in qualunque ospedale, stazione, parco, periferia, ghetto, ecc., in ogni luogo del pianeta purtroppo c’è bisogno, non solo a Calcutta.
Non è per questo che Madre Teresa ha indicato la strada o Lapierre scrive libri, ma è per la consapevolezza che ovunque ci sia bisogno, qualcuno ci deve essere!
Non voglio assolutamente giudicare ma capire si, mi fermerò qualche altro giorno e magari darò quiete ai miei cinici pensieri, è il posto giusto.
Calcutta è bellissima l’atmosfera della città e la presenza di così tanti ragazzi da tutto il mondo mi stimola, già l’adoro, è diversa da tutte le città sin ora visitate e merita più del tempo inizialmente stabilito.

Nel frattempo, già il primo giorno, dopo essermi imbattuto in una manifestazione per la liberazione delle licenze di guida dei veicoli pesanti, dove mi hanno bloccato tentando di farmi aderire alla causa (ma non sono nemmeno indiano..), ed essere stato assediato dai ragazzi degli slum che sorridenti mi chiedevano di fare foto, ho capito che non posso attraversare il Myanmar, sono stato al consolato e anche se la gentilissima signora a tentato in tutti i modi di aiutarmi (non appena gli ho detto che ero italiano si è data da fare come una pazza, grandissima) non è possibile, è stata gentilissima cercando di parlare con i nazzimyanmaresi dietro l’ufficio, sentivo le urla dalla sala d’attesa, ho anche tentato di chiedere se potevo passare dalla Cina ma…hanno urlato ancora di più, niente non si può attraversare il confine via terra, se vuoi ci dai il piano degli aerei, i luoghi che visiti (che decidono loro) e ti diamo il visto…e cert a’rravat lu carnaval
Mi sa che dovrò tagliare per i monti, non male ma…quanto può far freddo a febbraio?




Non ci voglio pensare, tanto è sempre così, passo dopo passo ogni attimo, ogni soffio di vento è buono per cambiar rotta, amo questa cosa sempre di più, è quasi libertà...

Andrea, “La città della gioia”, Kolkata

sabato 16 gennaio 2010

La sostenibile normalità dell’essere….




Dopo lo stordimento sensoriale di Varanasi decido di partire in direzione Kolkata (Calcutta, ho proprio bisogno di distendermi eh…), tanto ormai ho capito in questo viaggio niente sud, è troppo vasto, troppo, questo paese specialmente per i sensi, ogni luogo ti lascia qualcosa dentro, non mi sposterei mai, c’è sempre da scoprire, vedere, capire, ma non posso ed è proprio per questo che ho esteso il visto di soli 30 giorni altrimenti sarei rimasto molti mesi qui e non è il momento, la strada è lunga e ho una gran voglia di percorrerla…
Ma prima di Calcutta la mia mission impossible interiore non può prescindere da Bodhgaya, luogo in cui  il principe Siddhartha è diventato Buddha, mèta di pellegrinaggio continuo per i buddisti di tutto il mondo specialmente da novembre a febbraio, nonché mèta turistica invernale del Dalai Lama, magari mi illumino di immenso anch’io…niente benzina ragazzi eh!!! J.
Il viaggio in treno è stato un po’ a scrocco, non c’era posto e come al solito ho preso il biglietto open, economico ma drammatico, non hai posto e ti devi affidare sempre alla sorte ed al buon cuore dei t.t.e. (controllori), ma fortunatamente una famiglia mi ha preso in consegna nel  loro vagone grazie al mio made in Italy, una benedizione in questo viaggiare per l’India, Sonia Ghandi la adorano tutti (ad essere sinceri in tutti i paesi fin’ora visitati, mai stato così orgoglioso di esserlo).
Arrivo purtroppo in ritardo a Gaya cittadina anonimo trash che dista 13 km da Bodhgaya e nonostante gli avvertimenti della famiglia in treno decido caparbio di contrattare con un risciò, in effetti avevano ragione loro, la strada è brutta loro guidano da folli e c’è la nebbia, ma fortunatamente alle 23 arriviamo e mi faccio portare alla prima stamberga della guida senza insultarli, il mio karma sta karmo ormai…
Il paesino è spento, tutti dormono ma riesco a svegliare il ragazzo notturno della g.h, purtroppo come sempre ormai, le tariffe sono diverse e mi chiede 400 rupie fino alle 8 del mattino seguente, ma sulla lonely (la butto giuro!!!) si parte da 150 a notte?, si c’è una stanza ma…mi porta sul tetto del fabbricato ancora in costruzione, apre una mezza porta di legno tenuta da una cordicella e davanti una stanza di mattoni rossi e cemento senza finestre, cioè con i buchi ma senza vetro, un’amaca e una zanzariera a coprirla, questa 150 rupie…devo puntualizzare che questa cittadina è circondata da una palude che si mescola con gli scarichi e le discariche a cielo aperto…tradotto, ci sono più zanze da un kg qui che in tutto il comune di Firenze a luglio (Firenze!! chi la conosce può capire), declino e mi avventuro nella notte buia tra le casupole di mattoni senza illuminazione, a guidarmi il fiuto, che non si può descrivere, e il bofonchiare dei suini, che non vedo nell’oscurità  ma sento…


Tutte le g.h. sono chiuse e i “portieri notturni” dormono serafici al di là del vetro mentre io tento di farmi sentire in tutti i modi, nulla ronfano che è una bellezza, ormai sfinito ne trovo una con una tenda alla porta, la scanso e urlo nel buio sorryyyyyyyyy....il tipo salta dal divano e mi dice di entrare, ha una stanza e costa 700 rupie, ma vista l’ora me la da per la metà…bravo.
Esausto entro in camera, carina, nuova, grande, macchiata su tutti i muri da poco rifiniti, macchie rosse immense, una carneficina, e tra loro macchie nere, tante, i miei coinquilini che con la mano tento di scansare, mai visto nulla di simile…accendo il mio nuovo annienta zanze comprato in Rajhastan, una specie di baygon da parete ma così potente da sciogliere il muro sopra la presa, immagino i miei bronchi…ma non fa niente, devo dormire.
Il giorno dopo esco in cerca di una nuova dimora ma è tutto pieno o costoso, mi rivolgo anche ai templi dei vari paesi ma non hanno posto, in giro migliaia di monaci buddisti, rossi, arancioni, color mattone, moltissimi, ogni tanto qualche europeo con la coperta a mò di monaco, brutti!
Alla fine trovo la mia g.h. proprio vicino alla prima, dignitosa ed accettabile, in più il gestore è troppo simpatico e gentile, bene così.
Finalmente riesco a capire dove sono finito ieri sera, si tratta di un insieme di case quadrate colorate ai margini del paese tra la palude e il nulla, abitate per lo più da indiani locali e tra loro qualche gruppo di monaci e famiglie nepalesi, tibetane e bhutanesi, immagino ospitati per il periodo…molto semplice, povero oserei dire ma con la solita generosa quantità di sorrisi e saluti, e senza money money.
Bodhgaya è bella, sembra di essere in un luogo lontano, tutto è buddista ed ogni paese ha qui un suo tempio in onore del sacro luogo, dal Giappone alla Thailandia, dalla Birmania al Vietnam, dal Tibet al Nepal e così via, ognuno luccicante, curato, alcuni hanno anche ospedali e scuole gratuiti per i poveri, si tra i meravigliosi ordinati templi e le strade ci sono intorno i soliti slum, tende o pseudo baracche dove vivono le persone povere in India, sono ovunque, sempre.
In più c’è anche un simpatico mercatino tibetano, colorato e gremito proprio nei pressi della “stazione” dei bus turistici, prima della mia zona, intorno dei ristoranti baraccati, la sera sono entrato in quello nepalese, mi sembrava il più affidabile e poi non mi va di cenare tra turisti.
Ovviamene dentro solo ed esclusivamente nepalesi rimasti un attimo a bocca aperta quando con estrema disinvoltura sono entrato e mi sono seduto su una tavola di legno con loro, appena entrato il padrone un po’ sbalordito mi urla dalla cucina, mi dice in una specie di inglese aborigeno,  abbiamo solo *** e ***…va bene, ho fame, portane uno.
Mega scodellone di noodles fatti a mano con verdure e carne di…non so, buono e assassino, per la zanza  affogata dentro, i tipi intorno mi guardavano sbalorditi alla fine uno mi ha fa cenno di provare la salsa rosso fuoco sul tavolo, che loro spargevano abbondante nei loro piatti, l’ho fatto e fortunatamente in piccola dose, drizza i capelli…devo approfondire la cosa non appena in Nepal.
Il cuore pulsante del paese è naturalmente il Mahabodhi Temple, al centro il tempio con il Buddha d’oro, intorno terrazze di prati e scalinate dove pellegrini e monaci camminano continuamente, nello stesso senso, girando le piccole ruote della preghiera d’orate,  al centro, intorno al sacro albero, ci sono i monaci che recitano i mantra in maniera ipnotica, ogni tanto qualche strumento che accompagna poi di nuovo le preghiere, tra i prati e fiori in offerta sono tutti intenti a pregare o meditare, tra loro anche qualche occidentale, tutto sembra surreale, magico…ma a ricordare dove sei, all'uscita, gli indiani che affollano il perimetro costituendo un immenso mercato di ricordini, oggetti, cibo, immagini di sua santità ovunque, dvd, mendicanti, bambini per lo più, e tutto quello che si può men che mai desiderare in luogo così splendido.
È stato bello vedere questo luogo, naturalmente mi aspettavo la costante turistica ad alimentarlo, ma bene, mi sono mescolato cercando di osservare e capire come sempre, un paio di monaci mi hanno intrattenuto in chiacchiere, brevi, uno giovane mi ha chiesto una moneta italiana, euro? si, lo ha visto pensando che avessimo invece monete di qualche pianeta lontano, un altro mi chiedeva Italia? Ma è grande? Ma dov’è..bene…quasi tutti i monaci che ho visto erano alloggiati nelle strutture più belle, giravano con cellulari, canon eos e orologi dorati, tranne quelli nepalesi e bhutanesi che dormivano sul tetto della mia g.h. all’aperto, c’erano massimo 10 gradi la sera e un umidità spaventosa.
Tra loro ho conosciuto un tipo simpaticissimo di Katmandu, era qui per il suo business con la famiglia, tutta, e dormivano proprio sul tetto, in tenda, gli ho detto ma come fate con questo freddo? e lui con un sorrisone fichissimo ma io sono nepalese, questa è estate (scusa ma io sono cretino).
Sono ripartiti per il  Nepal proprio la notte stessa, gli ho detto che sarebbe stata la mia prossima tappa e mi hanno lasciato il numero di telefono, il suo e della moglie, facendomi promettere che li avrei chiamati non appena al confine, davanti a tutta la famiglia, chiamaci ci conto, beh, certo...grazie
Riguardo ai monaci non posso esprimermi, non so più di tanto ma…ho cominciato da poco a leggere il libro di Terzani, "Un indovino mi disse", ed oltre a rimanere sorpreso dalle incredibili similitudini riscontrate in questo breve periodo di viaggio, nonostante a quasi 20 anni di distanza, c’è proprio un capitolo adatto a questo post, “I sogni di un bonzo”, è illuminante per certi versi e rispecchia inaspettatamente quel che penso da un po’ di tempo…libro splendido, grazie davvero ragazze.

Andrea, Bodhgaya



venerdì 15 gennaio 2010

Attrezzatura d'..."avanspettacolo" per un ipotetico giro del mondo :-D

N.:
1 zaino da 70 lt
1 zainetto da 25 lt
5 underwear (fa più fico)
5 calzini vari (4 visto che la scimmia me ne ha fott…lo sapete)
5 magliette di cotone (tutte hanno un senso…lo so sono troppe)
1 camicia (quella blu assassina regalatami da zia, p.zza grecia)
2 jeans (da shiraz 1, mamma lo aveva detto dove vai con il c…di fuori? dare sempre retta a mammà, da Pushkar sostituito con comodissimo pantalone di cotone stile pakistano, liberazione maschile)
1 pantalone di lino
1 felpa con cappuccio (ricordo cinese)
1 maglia di cotone (tommy, regalo)
1 pile (decathlon, primo lavaggio maniche corte e mi arriva all’ombelico, uso pigiama)
1 maglia di cotone mezza manica (anni '70 acquistata a Londra, ricordi vane?)
1 costume (ormai ammuffito in fondo allo zaino)
1 asciugamano di microfibra (per carità ingombro zero, ma asciugarsi con la pelle di daino…)
1 giacca pesante impermeabile (compressa all’inverosimile ma una piaga per lo zaino e le spalle)
1 giacca antivento impermeabile (leggera e utilissima, “piegata “sta in una mano, svolta)
1 cappello di lana (ricordo capodanno Istanbul)
1 sciarpetta (portavo il cappello…)
1 paio di scarpe da tennis (25 euro, in stato di avanzato abbandono interiore ma non demordono, anzi, mordono)
1 paio di scarpe da tennis/trekking/Doh! con suola vibram (?)
1 sandalo (di plastica uso pantofola, doccia, uscite estive, frasario per comunicare con zanze)
1 sacco a pelo “piuma” (è la mia donna siamo una cosa sola ormai, senza la mia sleeping bag non so casa avrei fatto, l'acquisto più importante del viaggio, se solo non mi abbandonasse a +10° :-D)
1 trousse con nesessair per igiene e medicine
1 torcia frontale (utile all’inverosimile, altra dritta preziosa)
3 libri (doni veri: il codice di perelà, magnifico dono dal cuore, un’indovino mi disse, grazie saxa girls e libro su Nepal, grazie Dario)
1 laptop (grande indecisione ma scelta degli ultimissimi giorni azzeccata, nessuno lo condivide ma…davvero utile per me)
1 fotocamera scamuffa da 10 mpx (foto terribili ma 0 possibilità di furto e massimo utilizzo)
1 mp3 con radio (usato 2 volte, c'e' troppo d'ascoltare in strada)
1 micro dizionario d’inglese (lo stesso di Londra)
caricabatterie vari
Tabacco, cartine e filtri per le siga, dono di zia, e fazzoletti, dono di mamma, carta igienica (sembra una fesseria ma grandissima dritta di Dario, dalla Turchia all’India non pervenuta…ovviamente l’ho ricomprata durante il tragitto…)
penne, post.it. quaderno notes (che mi ricorda un sacco di cose...)

lo so non è poco e pesa, in totale circa 17 kg ma ho utilizzato tutto, certo col senno di poi avrei comprato alcune cose strada facendo ma…è il primo giro.

Andrea, Calcutta
(finalmente l'ho fatto)

mercoledì 13 gennaio 2010

Ràvanasi



...il girone dei gironi...
Sono partito da Delhi con un piccolo ritardo, 4 ore, purtroppo non posso chiedere altro al Dio dei treni, in “stanza” siamo io, due giapponesi, un coppia di argentini e una coreana, finalmente ho prenotato il mio 1° letto sul vagone non potevo reggere altre 14 ore come l’ultima volta, e se non fosse per lo stinco lasciato sulla pseudo scaletta della branda e l’elemosinatore presentatosi vestito solo con una copertina sulle spalle e delle catenelle come “intimo” (che a momenti veniva scaraventato dal gigante sud americano fuori dal finestrino)  tutto è filato liscio.
Appena scesi alla stazione e verificate le condizioni del piazzale la coreana un po' sbalordita ha deciso di seguirmi per cercare un alloggio (anche se credo non avesse ben capito cosa intendo per cheap!).
L’impatto con la città  è stato piuttosto forte, traffico e caos sono inverosimili ma alla fine abbiamo trovato una Guest house abbastanza vicina al fiume, come al solito breve contrattata e…il giorno dopo Kyungwon è fuggita, non è che avesse tutti i torti è in vacanza per un mese, vorrei vedere.
Varanasi, una delle città abitate più antiche del mondo nonché sacro luogo per gli indù, qui si interrompe la vita fisica di molti indiani (tranne che bimbi inferiori a 10 anni, donne incinte e  uomini santi, loro vengono lasciati integri al fiume…), molte famiglie accompagnano l’ultimo viaggio dei loro cari, li trasportano su delle lettighe coperti da un velo arancione (di solito) per poi bruciarne i corpi sulla riva e gettare i resti tra le braccia di Madre Ganga.
Tutto questo per 24 ore al giorno, tutti i giorni , più di 400 corpi arsi per liberare il karma, tra riti, cerimonie, templi e turisti (tranne che nei due ghat dove si tengono le cremazioni, si può assistere ma assolutamente non riprendere o fotografare, le famiglie possono uccidere per questo).
Nonostante la religiosità del posto anche qui non mancano “figure particolari”, dicono di essere dei volontari che spiegano ai stranieri cosa stia accadendo e perché, naturalmente dietro piccola donazione e proprio davanti alle pire funerarie, sinceramente non gli ho dato retta, non so non mi sembrava il luogo (non so nemmeno se siano veri, non credo, ma quando ne vedi arrivare uno dietro l’altro con la stessa cantilena in inglese il dubbio viene).
La cerimonia lascia un po’ impressionati, il corpo, avvolto da lenzuoli bianchi e adornato di fiori gialli e arancioni, viene prima portato sulla riva e bagnato con l’acqua del fiume poi adagiato tra i ciocchi di legno mentre molte persone si radunano intorno ai tre punti in cui vengono posizionati i corpi, familiari, amici, curiosi, coloro che preparano il legname e mantengono il fuoco vivo (ci vogliono 3 ore almeno per bruciare un corpo), dietro, in alto, c'è il luogo dove viene acquistato il legname, viene scelta la qualità del legno in base alla “casta” (quindi dindi), così come la posizione dove bruciarli (quella delle caste merita una spiegazione a parte, nonostante il governo abbia ufficialmente bandito ogni differenza tra gli uomini, come in molti casi non è così anzi, qui è piuttosto forte e non parliamo delle donne, c’è troppo da scrivere…), il tutto vicino ai venditori di tutto.
La città è un formicaio impressionante, da una parte quella “moderna” con strade intasate dagli autorickshaw e motorini, negozi, banchetti, università, banche, ospedali, qualche moderno centro commerciale e tempietti, dall’altra l’old city sulla riva del fiume, un fitto labirinto di stradine e viuzze satura all'inverosimile davvero infernale, colmo di negozietti, animali, ristorantini, degrado, caffè, normalità, artigiani,  è così angusto che il tutto viene trasportato a mano o al massimo con dei carrettini spinti da uomini, sempre che non si incroci la solita vacca che ostruisce il passaggio (che oltre a ravanare con tutti gli altri, compresi bimbi per gioco, genitori per selezione e vendita a peso... adorna le viuzze con i sacri doni, anche se molti li riciclano tramutandoli in pellet), ma è sempre questa l’India.
Molto della città si svolge presso la riva del fiume, quella occidentale naturalmente l’altra è considerata impura, dall’alba al tramonto è un brulicare continuo di persone su e giù per le scalinate dei ghat.
Chi compie le abluzioni con relativi riti, i venditori di ogni sorta, maggiormente collane di fiori da offrire alla grande madre e candele da far scivolare con la tua preghiera sul fiume, gli sadhu, i dispensatori di risposte (i più ai margini con imponenti cilum, loro possono, nonostante la severissima legge indiana a tal proposito sono considerati uomini di bene, una specie di santoni…capito?), guide per ogni angolo, “barcaroli” di ogni taglia e prezzo, aquiloni (dopo il cricket gioco nazionale, milioni di colori e plastica per i cieli dell’India), artisti di strada occidentali, massaggiatori improponibili e suonatori di bongo nippo-coreani, (ci sono vicoli con indicazioni totalmente per loro,ristoranti, guesthouse, negozi, una vera e propria comunità), le immancabili vacche, le capre con la polo, i cani randagi, zero gatti, e la laundry service…si una mattina dopo aver lasciato alla mia g.h. i panni da lavare mi sono diretto per un giro sulla riva e ho “notato” milioni di panni stesi, ovunque, e vicino alla riva uomini e donne intenti a purificarli nelle sacre acque del Ganga (che con tutto il rispetto sono putride e melmose) per poi "finirli" sulle pietre, dopo qualche passo e una foto, un dubbio...ma i miei…ok i carboni attivi ma, veloce corsetta sui 5000 gradini del mio ghat e indumenti salvi, faccio da solo grazie.

Sono stati ancora una volta giorni di totale privazione personale, tutto viene assorbito dalle continue emozioni e rimane difficile esprimere quel che vedi, senti, ascolti, dalla strada, dai ragazzini, dai ragazzi, dagli adulti che ti fermano per chiacchierare, nella tua mente rischi sempre di giudicare troppo razionalmente quello che dinanzi ti appare così…
Allora tutto ti sembra normale anche se appena volti lo sguardo il normale muta.
Negli gli occhi dei bimbi specialmente, scalzi della loro normalità, privati della loro spensieratezza, occhi furbi e svegli quelli di coloro che purtroppo devi schivare (ma sempre bimbi sono...), perché come mi hanno detto più volte fanno parte di una “mafia”tollerata e non si aiutano così, alle volte gli infliggono maggiori  privazioni fisiche solo per elemosinare di più (agghiacciante).
Occhi vividi e dignitosi quelli di coloro che ugualmente poveri e scalzi, “buffi” nei loro vestiti di 5 anni più grandi, trovi nei negozi dei genitori, nei forni, dietro i banchi dei mercati, a scorrazzare per le vie o ad accudire goffamente fratellini più piccoli mentre loro hanno smesso di gattonare il giorno prima.
Li vedi davanti le scuole “minori”, con le minori divise, sui trabiccoli che pedalano con gli “zaini” rattoppati sulle spalle o ancor più quando si riuniscono dietro l’unico edificio che non sia una baracca, seduti in terra, all’aperto, di fronte ad una lavagna di cartone con una donna o un ragazzo ad insegnargli da che parte della strada stare…mentre il religioso di turno, a pochi passi, accende il fuoco vicino al suo sacro albero.


Nel mezzo di questo vortice continuo, implacabile, tra sacro e profano, in questa perenne fusione di grazia e oscenità difficile da comprendere, come sempre, i miei occhi, il mio cuore e la mia mente si perdono...troppo deboli per apprezzare a pieno questo meraviglioso dono…


Andrea, Varanasi




sabato 9 gennaio 2010

Blog disattivato

Non so cosa sia successo ma il blog è sparito per un pò, ho temuto il peggio,  probabilmente collegandomi di tanto in tanto dagli internet point qualcosa deve aver intaccato la sicurezza (?), comunque sono riuscito ad accedere e ora dovrebbe essere tutto ok.
Sono ancora a Varanasi, spero per l'ultimo giorno, poi racconterò.

Un abbraccio a tutti.

Andrea, Varanasi

giovedì 7 gennaio 2010

MetaComunicazione

Aggiornate foto Pakistan e India, a breve, come di consueto :-D, post.

devo n'attimo aritrovà me stesso... ma mò c'ho la quita scpirituale:






Andrea, Varanasi

sabato 2 gennaio 2010

La tua India nun sà da fà!!!




Realizzato che il mio tour dell’india nun sa dà fà, anche grazie alla supervisione razionale di Éli e Roby, decido di desistere dal mio itinerario psicopatico, niente sud, nord e solo nord…quindi mi dirigo a Bundi, cittadina davvero tranquilla, oltre alla bellezza celeste delle sue case e all’imponenza del suo forte, splendido, è anche un luogo abbastanza vero, indiano…la sistemazione trovata è imbarazzante, 130 rupie a notte, gestione familiare e gentilezza, sembra di essere a casa quindi decido di far fare il bucato (a mano, in India non wash machines, solo mano e stiro con ferri alimentati a carbone…come da noi "qualche" anno fa), tutto procede sereno se non fosse che una simpatica scimmia mi fotte i calzini, questo scatena una serie di insicurezze nel mio karma tra cui quella dell’attendibilità delle info ricevute in Italia riguardo il mio visa, sicuro che posso stare per 30 giorni dal mio ingresso, come chiesto trecento volte all’agenzia dei visti, oppure far fede al termine dei tre mesi dal rilascioi??


I dubbi mi stressano, decido di parlarne con il painting man del luogo, si rivela fratello di un impiegato all’ambasciata italiana di Delhi (che cu...), lo chiama al cellulare e mi fa parlare con lui…i maledetti in Italia hanno sbagliato, il visto scade il 9/1/10 e non il 15, panico!!!
Devo trovare una soluzione anche se sfogliando la lonely (edizione settembre 2009) e internet, le info dicono che è impossibile estendere il visto turistico tranne che per motivi di salute e per un massimo di 14 gg.…no no, devo capire, torno a Delhi!
Da Kota prendo il primo biglietto, quello senza prenotazione aperto tutto il giorno, puoi prendere qualunque treno per la destinazione prescelta (ovviamente super economico ma…), mi ritrovo nel vagone disperati di Fatima, l’ultimo, 4 brande 20 persone, tutti si sistemano dove possono, in terra, sul muro in bagno (evito racconto), la situazione "interiore" del coach è surreale, quasi "intimidatoria", ma dopo poche ore un ragazzo mi cede spontaneamente il posto al piano superiore, malinconico ed esausto mi stendo, dopo pochi secondi lo stesso ragazzo mi copre con la sua coperta e si mette vicino al fratello non vedente (unico english spoken…).
Ancora un volta rimango sorpreso del mondo.
Arrivato a Delhi all’alba, girone pahrghanj, cerco una sistemazione, non semplice è il 30 dicembre ma alla fine la trovo...mi dirigo subito verso il “ministry of home affair”, arrivo in ritardo (ho preso il bus, basta riscò furbastri), la reception chiude alle 12 sono le 12;30, sfiga…le mie maledizioni interiori, in italiano, riaffiorano prepotenti fino a quando un signore di colore, algerino, sorridendo mi dice no problem, wait, lui ha il token io no quale ok???…seguimi...riesce a farmi entrare con lui mentre il tipo che mi aveva negato l’ingresso mostra chiari segni di nervosismo sul volto  :-).
Il simpatico "salvatore" ha un business in India e deve estendere ancora il suo visa per lavoro, in tanto porta pacchi regalo ovunque, mi accompagna fin all’ufficio e mi dice my job is finished ,good luck…che cubo rispondo io, e lo dico anche agli altri ragazzi che siderali si chiedevano come avessi fatto ad entrare...fortuna che siamo tutti europei!
Ad ogni modo trascorro la giornata nell’ufficio, come tutti, almeno un centinaio di persone che a turno venivano chiamate per sapere quale fosse la richiesta per poi nel pomeriggio ripassare per la consega di una busta chiusa da portare l’indomani ad un altro ufficio, altra zona…la mattina dopo con poche speranze e tra centinaia di afghani in fila separata dalla multi etnicità della mia, alle 16:00 del 31/12/09 la superacidona signora appone il timbro sul mio passaporto, Andrea può stare un mese in più in India, semplice e gratuito (anche se mi puzza, tutti gli altri pagavano ma magari avevano estensioni di mesi o cambio di visa, speriamo bene), in conclusione, mai fidarsi delle guide e tentare sempre, l’iter può sembrare un po noiso ma chi è schiavo della burocrazia italiana credo possa sopravvivere a tutto, una passeggiata.
Ormai con il timbro e la mia faccia sorridente non mi rendo conto che oggi è l’ultimo dell’anno, che fare? un ragazzo del kashmir che avevo conosciuto nel precedente soggiorno mi invita alla festa in centro, New Delhi party, ci penso ma gli ultimi 3 giorni sono stati carichi e lui come sempre ha idee pischelle per un capodanno da panico, io no, me ne sto in stanza e riposo, il giorno dopo voglio prendo il notturno per Varanasi e tentare di raggiungere il sud in mese.
Mentre torno in albergo uno dei 5000 guys che lavorano li mi ferma in strada per cercare di convincere una signora francese ad andare al party di fine anno sul terrazzo dell’albergo (c’era solo lo staff dell’albergo, triste!), lei non ne vuole sapere e comincia a chiacchierare con me, si rivela viaggiatrice da una decina d’anni, con un piccolo business di gioielli in quel di Bordeaux, lavora in pratica sei mesi in Francia e 6 mesi gira l’India per rifornirsi di gioielli in argento e fare qualche giorno di vacanza…grandissima, ex impiegata in ospedale a Parigi un giorno ha deciso che non era per lei e a 35 anni ha cambiato di netto, come dice lei non diventerà mai ricca ma fa quel che desidera e si mantiene piuttosto bene, una bella persona, gradevole!
Insomma l’iniziale solitudine dell’ultimo dell’anno si tramuta in una piacevole serata tra chiacchiere di viaggi, frammenti di vita, foto e risate, a parte una piccola parentesi verbale, assolutamente civile, tra me e uno dei boss dell’albergo riguardo i pakistani (pessima considerazione l’uno dell’altro, folle sta cosa, ed è sempre così da quando sono partito, i greci non amano i turchi, i turchi non amano i greci, gli iraniani non amano i pakistani…e così via, splendidi popoli conosciuti nel mio errare che non conoscono l’altro ma non possono fare a meno di giudicare in negativo, siamo stupidi o no?), è stato un fine anno bellissimo.
Insomma la mia buona stella mi ha fatto passare altri bellissimi momenti e salvato anche la vita in realtà, il treno che dovevo prendere il 1° gennaio come da programma, si è scontrato all’alba del 2 a metà del percorso per Varanasi, io avevo deciso di passare anche il mio compleanno con i simpaticoni dell’albergo e Veronique ed è stato un bene…improvviso e fuori programma…bene vero.

Andrea, ariDelhi