"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole."

Charles Baudelaire

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mercoledì 8 settembre 2010

Appeso a un semaforo


Kuala Terengganu.
Arrivo in serata tra pioggia e traffico, già rimpiango le isole.
La città è sede dei migliori bazaar della Malesia, di splendide moschee e del palazzo del Sultano, chiuso al pubblico...credo saranno due giorni regalati al paese.
La città è sinceramente poco attraente, i mezzi di trasporto nei pochi luoghi di interesse latitanti o in fase di “creazione”, mi dicono (e se riprendono i terribili bus del luogo siamo fritti), i bazaar sono allestiti con prodotti sintetici, maglie di calcio internazionale e cianfrusaglie di poco conto; nota positiva la bella Chinotown, bella vero, ma ristrutturata in maniera surreale e ancora in via di “sviluppo” turistico, insomma, potevo tirar dritto.
Devo dire però che in questa parte di costa la vita musulmana è abbastanza reale (anche troppo vista la quasi totale assenza di indiani e cinesi), tanto da scambiarmi per pakistano e fermarmi in mezzo alla strada.
Vero che in Malesia l’islam è generalmente più free, le donne portano dei semplici veli colorati, simbolici diciamo, girano tranquille con le amiche, lavorano, vanno in moto, insomma fanno vita “normale” a differenza dei paesi del medio oriente (ci sono sempre quelle in burka, per lo più turiste), anche se nulla in confronto a Georgetown!
Ricordo che una sera con Marco siamo andati nella zona universitaria a trovare degli amici tra i grattaceli adibiti a residence per studenti stranieri, con piscine, palestre, guardiani, ect…altro che camere affittate a Roma.
In particolar modo mi colpirono i ragazzi/e provenienti dall’Iran.
Tutti vestiti “occidentalissimamente” male e con atteggiamenti fin troppo yeah, in particolar modo le ragazze, private degli eccessivi obblighi “religiosi”, girano in shorts, magliettine firmate, capelli svampati e truccate in maniera spaventosa, di poco gusto oserei dire; potere delle repressioni espressive, delle imposizioni sinceramente esagerate di quei paesi che fin troppo seguono la “via del corano” e che portano ad una ribellione estrema non appena fuori dai loro confini.
Con tutto il profondo e sincero rispetto che oggi nutro per i paesi islamici dopo averli visitati, vissuti un po’, e avendone conosciuto le straordinarie persone che li abitano, dico che sarebbe meglio capire piuttosto che imporre.
Nessuno vorrebbe tornare in Iran, in Pakistan o altrove, nessun ragazzo e soprattutto nessuna ragazza, e tutti hanno parole colme di rancore…come biasimarli, cercano solo di essere liberi di “essere”, come gli altri...
Immediata la decisione di abbandonare Terengganu e dirigermi verso Cherating, luogo abbastanza tranquillo consigliatomi da alcuni “passanti” e indicatomi da Marco come possibile piacevole meta.
Il luogo è situato alla fine dello stato ed è composto da una via!
È proprio a ridosso della spiaggia e li si concentrano guest house, bungalows, un paio di resorts, tre ristorantelli e un mini mini mart, intorno il nulla.
Meta preferita di solitari europei in cerca di relax e quiete, o gruppetti di giovani malesi in cerca di una serata al limite, birretta e patatine.
Dovrebbe essere una delle poche zone dove è possibile “surfare” ma le onde sono piuttosto basiche e non fanno altro che intorbidire l’acqua; la spiaggia è parecchio lunga ma senza la minima poesia, tranne quella del vento e dei “doni” della marea.
Una notte è  stata sufficientemente emozionante, non faccio yoga ne meditazione, cioè solo underground, e non sono pensionato, se poi voglio una birra me la bevo, anche se qui costa cara, sgrunt!!!
Decido di andare direttamente a Kuala Lumpur, che insieme a Singapore, è l’icona dello sviluppo del sudest asiatico.
Arrivo nei pressi di chinatown a cavallo della mitica monorotaia, all’uscita un malese rokkettaro figlio del blues mi fa da cicerone sino all’unica guest house che conosco.
Entro ed assisto all’ultima deflagrazione conformista del mio errare.
Tutti stranieri monoumanici finto alternativi spappolati, anche un pò freejazzpunkinglese ma fondamentalmente cuccurucucu paloma.
Piedi nudi (ok sono abituato e mi piace, un must da mesi), moquette, fumo, cianfrusaglie e stanze loculo-flashate aperte per condividere ogni atmosfera; al terzo piano dello stabile stile Amsterdam cioè ripidissime scale con scalini di 3 cm (non solo per i scalini…), arrivo alla mia possibile stanza, ma non prima di oltrepassare la fumosa area comune occupata da uno strano tipo seduto in posizione del loto sfiorito con capelli lunghi, barba lunga, tatuaggi lunghi, occhi persi nel nulla (ma annullati da qualcosa) immerso nelle sue allucinogene tele dipinte…cioè, molto pulp, pure troppo!
Ringrazio il curioso ma gentile ragazzo musulmano e riparto.
Pochi metri e sono in mezzo a chinatown detestabile mercato tarocco all’aperto per turisti, è tardi e alla fine mi sistemo in un ex cinema adibito a g.h., nulla da chiedere alla morte interiore ma cheap e con wi fi.
1° mission del mio soggiorno il visto Indonesiano.
L’ambasciata è a 250.000 anni luce dal centro, nonostante il mio delirante senso del risparmio (e appurata la totale assenza di bus che arrivano li), mi vedo costretto a prendere un taxi, il primo, di sempre…
Mi faccio convincere dal padrone indiano della nuova locanda situata poco distante dal “cinema”, sulla collina vicino al tempio indù zona piacevole devo dire (inutile, l’India mi manca troppo).
Con misurata gioia comprendo che il taxi non è un lusso, quasi 45 minuti di viaggio per una cifra vicina al ridicolo (perché ho faticato disumanamente in tutti questi mesi??? Sei un caprone!).
Arrivo e fortunatamente è ancora aperta, mi precipito dagli omini di guardia per il pass.
Lei non può entrare?
Ma se nemmeno ho parlato.
Si affaccia dal vetro, mi squadra e mi dice guarda alla tua destra.
C’è un maledetto cartello con le immagini degli indumenti consoni o meno.
Io ho le X su tutto!
No pantaloni corti, no sandali no tongs, e per lei velo e zero cm di pelle al sole.
Noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Cerco di inscenare le solite manfrine tra un awanaghess di Albertoniana memoria, un alex drastco e la faccia da cucciolo, ma niente è inamovibile.
Mestamente esco e impreco su me medesimo, è venerdì e devo aspettare fino a lunedì per tornare!
Mentre mi dispero noto una coppia che entra, lei ha le infradito.
Mi precipito nella guardiola e faccio notare la cosa, perché lei si e io no? Come mai questa disparità di trattamento? Faccio appello all’articolo…ok, zitto, metti questi.
Mi rifila un paio di pantaloni da ginnastica unti dal neolitico.
Ora va bene, fotocopia del passaporto?
Non ce l’ho.
Senza non entri.
Grrrrrrrrrr
Riesco e giro nei dintorni, vedo un centinaio di persone in fila, sono Malesi in cerca di permesso per l’altro emisfero, li in una parte distaccata dell’ambasciata c’è una fotocopiatrice, mi accodo, fanno fotocopie gratis per loro.
Mi presento sfacciatamente al bancone e la signora mi guarda mentre impersono il cucciolo Alfredo, sorride mi fa una copia e mi saluta.
Finalmente entro.
Mentre compilo la domanda per i due mesi di permesso (ne danno uno se viaggi via terra) ometto il come e il quando lascerò il paese, il funzionario mi fa notare la cosa ed io gli spiego la mia storia, divertito ed incredulo chiama le sue colleghe velate raccontando di come sono arrivato in Malesia “a piedi”, la cosa diventa di dominio pubblico ed anche le 80 persone in attesa ridono…di cosa????
Mi dice ok non ci dovrebbero essere problemi, parlerò con il supervisore, torna lunedì a prendere il visto.
Lo ringrazio ed esco, per la gioia decido di tornare a piedi sino al centro, sfacchinata inimmaginabile ma compensata da una piacevole euforia decido anche di fare una buona azione.
Mentre cammino tra i grattaciel, gli immensi negozii e gli hotels superlusso, mi fermo a leggere uno dei tanti menu dei sfarzosi ristoranti; quello teoricamente italiano è davvero uno spasso, le portate sono scritte in italiano, malese e inglese ma totalmente sbagliate, in particolare per un piatto che era composto anche da …seno di anatra bollente… non ho resistito e sono entrato (vestito come un bandito) e tra un hello mr, ect, ho fatto notare la cosa al maitres del ristorante, quando ha capito cosa c’era scritto si è imbarazzato all’inverosimile mi ha ringraziato, salutato e liquefatto verso la cucina tra i sorrisi delle varie cameriere.
È sempre bello far del bene…ed è stato davvero esilarante :-D.
Ora un tranquillo week end a K.L.

Andrea, Kuala Lumpur

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